Contro la rassegnazione
Oltre a un certo fiato corto, la poesia novecentesca mi imponeva il confronto con quello che possiamo definire “il male di vivere”.
Quantomeno da Baudelaire in poi, la poesia si confronta con la noia, il tedio, l’angoscia esistenziale, il pensiero debole e il nichilismo di una civiltà che si avverte in declino. Il discorso è ampio e si allarga, dalla poesia, a tutta la cultura. Rispetto a tutto ciò, ho sentito di non poter certamente far finta di nulla: sarebbe stato come barare. Ma nella poesia ho sempre avvertito la tensione a muovere il pensiero oltre questa soglia, oltre la denuncia del vuoto, oltre al crollo delle illusioni. Verso che cosa? Non lo so. La ricerca è ancora in corso. Ma umanamente, la risposta spontanea che mi sorgeva, da qualche parte di me, era una ribellione a questo pensiero rassegnato. Sentivo, nella poesia e nella scrittura, una propulsione conoscitiva che non aveva affatto perso la propria energia.
L’insidia era quella di superare il Novecento all’indietro, riattraversare, come certa poesia di area romana, Pascoli e non solo, per recuperare un idillio classicista, una dimensione di candore e di innocenza che, francamente, trovo insopportabile.
Anche su questo fronte, mi rileggo ora. Non so fare i conti, sia perché la partita è in atto sia perché il “fronte di battaglia” è troppo ampio, e non può riguardare solo me, ovviamente – anche se questo non è più il tempo di poetiche condivise, di opere comuni. Però, ecco, non posso negarlo, per un po’ ci avevo creduto. E questa speranza, questo desiderio ha sicuramente lasciato il segno nella mia opera. “A poco a poco anche l’epoca evapora, / si slaccia la metafora perfetta / e il fiato dentro il vuoto prende forma: / un nuovo mondo dietro l’angolo aspetta”.
La mia impressione è che da Leopardi in poi si sia via via installato il vuoto anche in poesia, essendo la poesia una tecnica di produzione umana come tutte le altre, quindi assoggettata al mondo inteso come divenire. Non mi pare che ci sia stato o ci sia ora un poeta che sia più riuscito a evadere dalla percezione sempre più conscia e ineludibile che le cose, gli enti, vengono dal niente e vanno nel niente. Mi pare che, in linea generale, pur potendo godere delle differenze locali, delle correnti letterarie, delle singole e diversissime poesie scritte da autori diversissimi tra loro, il fondo comune, il tratto che mi sembra presente in tutta la poesia lirica moderna e contemporanea sia il nichilismo; e che le poesie siano dunque una variazione su questo tema. Nichilismo qui inteso non come moda, o poetica, o modalità di vita scelta rispetto ad altre messe a disposizione, come fosse un “ismo” quale potrebbe essere comunismo, impressionismo, classicismo, maledettismo: no. Nichilismo inteso come condizione generale del nostro tempo, dell’Occidente tutto, un tempo di cui nessuno vede la fine perché immersi in un continuo presente ripiegato su se stesso in cui non vi è , da tempo, spazio per il futuro. Ogni tanto, qualcuno, sporadicamente, sganciato da una qualunque corrente di appartenenza tanto quanto i poeti appunto, e gli artisti in genere – tutti liberi, tutti disperatamente liberi in una pianura senza tradizione o argine o colpa – tenta un’ipotesi, tenta di indicare una linea di attraversamento che inevitabilmente viene assorbita dal rumore ( avevo scritto tumore) di fondo. Al momento è così, almeno sotto gli occhi di tutti coloro che rifiutano – per onestà intellettuale – un ritorno ad un’unità primigenia perduta e bella che morta, o ad una qualunque promessa di un mondo dietro al mondo etc. Insomma: forse che lo sguardo che si leva ad di sopra della siepe nell’Infinito differisce dallo sguardo che si volta in Montale e quest’ultimo dall’uomo che passeggia nei cortili e questo dallo sguardo del fisico che, immerso in fondo alla materia subatomica, non solo non rileva più il tempo come una variabile, ma addirittura definisce gli eventi come probabilità statistiche, sono cosi differenti? Non sempre sia chiaro rilevare ciò che accomuna è necessariamente migliore di rilevare ciò che differenzia però…. per finire: se in questo processo umano, la Bellezza qui ancora esiste e resiste ( ed esiste e resiste ) questa stessa Bellezza che contenuto di verità porta, attualmente, se non il Niente?
Cerchiamo.
Grazie del ricchissimo contributo, Max. La mia è una semplice paginetta di diario, mentre mi rileggevo e ripensavo a quanto macinato durante l’elaborazione del libro. Il tema sarebbe davvero enorme. Per una volta, veramente “epocale”. Comunque penso anch’io che bellezza e niente siano due lati della stessa medaglia. Anzi, guarda un po’, l’ultimo verso della mia raccolta spiega questo.
Cerchiamo, sì, cerchiamo