Interrogazione

L’interrogazione più veloce di sempre

Non amo le interrogazioni brevi. Quando interrogo, mi piace dare tempo di riflettere, sottoporre quesiti articolati, verificare la reale competenza e la comprensione oltre al mero studio, e semmai integrare, aprire prospettive, ripetere in modo personalizzato, spiazzare con domande che pongono l’argomento trattato in relazione con altri argomenti o materie, e possibilmente con l’esperienza di vita concreta e con l’attualità…

Però, ora che riprende la routine scolastica, mi toccherà anche, di tanto in tanto, obbligarmi a qualche interrogazione rapida, di 10-15 minuti circa.

Sono persuaso, però, di non riuscire ad abbattere il mio record, che resiste ormai da un paio di decenni.

Quella mattina, in terza media, dovevo proprio interrogare, e avevo iniziato interrogazioni “su tutto il programma”. Non mi ricordo se chiamai con sorteggio o per scelta mia un ragazzo sveglio, ma poco studioso. Una delle “anime grandi” di quella classe divertente e sgarrupata con cui c’era un feeling particolare: mi avevano conosciuto in cortile come educatore, ora come insegnante alle prime esperienze ero una sorta di fratello maggiore.

Quando sentì il suo nome, la sua smorfia spontanea era una dichiarazione esplicita: “Che sfiga, doveva proprio cominciare da me, che contavo di studiare ascoltando gli altri?!”. Però, appena incrociato il mio sguardo, il volto cambiò espressione e si fece sorridente, in modo ovviamente non spontaneo, ma nemmeno troppo affettato. Stava mettendo in pratica il mio primo suggerimento: “Anche se non siete preparati, presentatevi con sicurezza e quasi con spavalderia. Non potete rifiutarvi, e allora tanto vale non tirarvi subito la zappa sui piedi…”. Ecco, il suo nuovo aspetto aveva la brillantezza di chi non solo aveva memorizzato il consiglio, ma lo aveva davvero fatto proprio. Il suo sorriso ora dichiarava: “Ma sì, ha ragione, vengo volentieri a fare anche quest’esperienza, tanto che cosa vuole che sia, rispetto alla mia famelica adesione alla vita che mi aspetta…”.

Il ragazzo aveva nella mia mente già guadagnato un paio di punti, rovesciando la prospettiva di un secondo prima. Poi però, mentre si alzava dal banco, ebbe un’intuizione e aggiunse: Ma certo, prof. Facciamola finita fammi fuori…”

Venni colpito come un da un fulmine. “Che cosa hai detto, Marco?”. Lui ripeté la frase, forse col timore, adesso, di essere stato eccessivamente temerario. “Ho sentito bene che cosa hai detto. Intendevo chiederti perché hai usato quella frase”

“E’ quel verso tutto in allitterazione della poesia di Sereni che ci aveva spiegato la volta scorsa. Mi sembrava particolarmente appropriato”, mi rispose, ancora un po’ titubante, per la mia possibile reazione.

“Va bene. Siediti. Dieci”

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