Commento all’infinito (quello di Leopardi, ovviamente)

L’infinito di Giacomo Leopardi è forse la poesia più famosa di tutta la letteratura italiana. Cimentarsi nel commento di un testo tanto celebre è un atto rischioso, ancor più se si mira alla semplicità. Si può essere divulgativi senza ridurre un capolavoro alla sua banalizzazione scolastica? Ci vogliamo provare.

Molto si potrebbe aggiungere, ovviamente, rispetto a quanto è rimasto fissato in questa videolezione, che per me è utile in diverse circostanze durante il percorso della scuola media. Al primo anno, la leggiamo come la poesia manifesto dell’immaginazione (tema a cui dedico un modulo). E magari la manipoliamo con qualche semplice indagine grammaticale. Risulta utile, per esempio, per un buon ripasso sugli aggettivi, in particolare i determinativi, che nel testo si ripetono ossessivamente.

In terza media, invece, viene riletta in un percorso già più propriamente di letteratura, in cui si approfondisce l’autore e la sua visione della vita. Ci interroghiamo sulla felicità e cerchiamo l’errore logico di Leopardi, per non restare invischiati nel suo pessimismo. I miei studenti sanno bene che non possono additare le vicissitudini della sua biografia per giustificare, e quindi sminuire, la sua filosofia. Già i suoi contemporanei commisero questo errore. E sono i testi stessi di Leopardi a ribadire che no, non è la diretta esperienza di vita dell’autore a determinare un pessimismo tanto radicale, che impronta, del resto, tutta la letteratura e la cultura successiva, fino ai giorni nostri.

Ma qui, dicevamo, limitiamoci a dire qualcosa di semplice, ma si spera anche intelligente, intorno ai versi dell’Infinito. Sarebbe già molto.

2 commenti
  1. Massimiliano Marrani
    Massimiliano Marrani dice:

    Buffo, non sapremo mai quale fosse l’intenzione del poeta quando, nel presente, scrisse questo testo. Nessuno lo sa e non è possibile saperlo. Quel presente è andato e di quel presente abbiamo solo un testo, un resto. Ma pur ignorando, ne parliamo come se lo sapessimo, ognuno a modo suo; attraverso ciò definiamo degli stili, delle biografie, dei contesti, delle filosofie, delle politiche, esprimiamo gusti, attribuiamo delle intenzioni e così facendo, proprio di conseguenza a ciò, creiamo concretamente le premesse del cambiamento che avverrà: quel che si diceva di questa poesia venti anni dopo che fu scritta non è ciò che si dirà tra cento anni, né tanto meno duecento anni dopo, cioè oggi. Ma intanto accade qualcosa di formidabile: il testo viene letto, dunque vive. O così o l’oblio.

    Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *