Il successo dei mediocri: il caso Quasimodo
È opinione ormai condivisa che il premio Nobel assegnato a Salvatore Quasimodo nel 1959 fu piuttosto generoso. Il giudizio si è confermato nel tempo, ben oltre la reazione sorpresa e irritata dei protagonisti dell’epoca. Semmai, c’è ancora spazio per la discussione intorno alla “conversione civile” del poeta, su quanto fosse sincera e connaturata alla sua indole o quanto fosse, invece, studiata.
Non è possibile, ovviamente, valutare le intenzioni e le ragioni intime di un autore nei suoi passaggi evolutivi, ma non sono pochi gli studiosi che, nell’opera di Quasimodo, pongono maggiormente l’accento sugli elementi di continuità rispetto a chi sostiene uno suo repentino, e magari opportunistico, cambio di rotta, per intercettare meglio le tensioni di quegli anni e rinnovare la propria immagine – da poeta ermetico, interamente raccolto nelle proprie ragioni letterarie, a poeta impegnato, aperto alle tensioni della storia e della società. Sotto le vesti del poeta simbolista, astratto ed ermetico della prima maniera e a quelle del poeta neorealista, impegnato ed elegiaco della seconda maniera si rintraccerebbe un medesimo petrarchismo, che riduce a posa classica, a descrizioni astratte e stilizzate persino i referti storici e sociali accolti nel Dopoguerra.
Che si voglia sottolineare o no la cesura tra una prima e una seconda maniera, o addirittura cercarne una pre-ermetica (come suggerisce Giacinto Spagnoletti) nel contesto della cultura palermitana dove ebbe modo, terminati gli studi secondari, di stringere amicizia, per esempio, con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira (il futuro sindaco di Firenze), resta il fatto che la lettura dell’opera di Quasimodo non riesce a far fiorire dalle impressioni letterarie, dai tratti stilistici caratterizzanti e persino dai riferimenti storici il senso di un pensiero poetico, insomma una visione compiuta entro una personale simbologia in grado di interpretare il reale, di rappresentarlo entro una prospettiva originale che si percepisca coerente anche e soprattutto laddove non sia completamente chiara a sé stessa e quindi corrispondente a una teoria razionale esplicita. Le illuminazioni naturalistiche, fin dalle prime raccolte, restano scintille isolate che si risolvono in sé stesse per spegnersi rapidamente: immagini di stupore stilizzate e sempre a rischio di facile retorica. Lo stesso potrà dirsi delle scene tragiche dettate dalle tematiche civili. In entrambi i casi, gli accenti cristiani o la luce mitica raccolta dallo sfondo sono squillanti e trasparenti, troppo limpidi e intercambiabili per conferire profondità al testo. Siamo ben lontani dalla metafisica montaliana del male di vivere: in Quasimodo le immagini si cristallizzano e anche lo spunto epico viene proiettato in una sorta di memoria letteraria atemporale, distanziato e rarefatto. In questo poeta l’impulso verso la parola pura non si è veramente mai negato, anche quando viene appositamente ricoperto da sussulti declamatori, da impennate esclamative e interrogative, che si percepiscono come movenze anzitutto verbali, come gesti compiuti sulla pagina a risarcire un’assenza di moti esistenziali che avrebbero richiesto maggiore intimità o comunque una diversa intonazione.
Ma forse di fronte a questo poeta e al problema che l’evoluzione della sua opera ci pone si rischia sempre di scivolare dal giudizio letterario a quello morale, nel tentativo di dimostrare l’indimostrabile, nel portare a termine, insomma, un processo alle intenzioni. Raccolti tutti i dati, anche la critica deve riconoscersi così nel gusto, nella capacità di auscultare il testo seguendo impulsi tanto sottili da non essere completamente formalizzati. Basti allora ricordare la sua dimensione epigonale, questa sì ben documentabile a livello testuale e figurativo, nei confronti sia di Ungaretti sia di Montale (per restare ai riferimenti più prossimi e scontati) e la sua incapacità di porsi, a sua volta, come modello attivo per altri autori, per ribadirne l’eccessiva fortuna letteraria nei decenni del Dopoguerra. Fortuna che gli garantisce, ancora oggi, una strana popolarità: sintomo evidente di come la poesia abbia avuto un’epoca in cui le era ancora possibile incidere nell’immaginario comune, a patto, però, di assumere pose in sintonia con le aspettative dell’epoca.
Qui sotto, una videolezione per inquadrare meglio la vicenda umana e letteraria di Quasimodo. Si cerca anche di riscoprire l’utilità didattica di soffermarsi ancora su questo autore, malgrado il suo vistoso declino
Grazie, Andrea: un saggio perfettamente condivisibile.