Il viaggio dai contemporanei ai classici
In un’ideale formazione culturale è meglio seguire la via “scolastica” che, sulla scorta della storia, parte dai classici per arrivare ai contemporanei, oppure è meglio percorrere la strada in senso inverso, partendo dai contemporanei?
La questione, a dire il vero, è mal posta, dal momento che la nostra esperienza e il nostro apprendimento non sono mai così ordinati. E la cultura forma un sistema, per cui ogni autore richiama una tradizione oppure apre un orizzonte in cui altri si insedieranno (magari senza piena consapevolezza: l’equivoco fa parte della trasmissione). Leggi Eliot, ti ritrovi immerso nei canti danteschi. Mastichi Orazio, indovini spezie che finiranno nelle insalate tardomontaliane.
Eppure, mi considero un deciso sostenitore della seconda ipotesi. Meglio partire da ciò che è più prossimo, prima di avventurarsi nell’esotico. Non è detto, ma in linea teorica ciò che ci è vicino dovrebbe risultare più semplice da apprezzare – e non dico comprendere, attività che comporta ulteriore dedizione e tempo. Un contemporaneo ha i suoi vantaggi (almeno ipotetici): sentiamo di condividere la stessa realtà che quell’autore, con le sue opere, ci guida a interpretare; possiamo seguire uno scrittore nel suo percorso di crescita e nelle sue svolte; abbiamo il potenziale privilegio di arrivare a conoscerlo di persona (per poi, eventualmente, pentircene e comprendere che talvolta l’autore in carne e ossa è di ostacolo, diventa ingombrante, rispetto ai suoi testi…). Possiamo insomma fare il carico di passione e mettere carburante nel motore della filologia che ci guiderà nelle risalite, a volte faticose, nella lingua e nella retorica, alla ricerca delle origini. I contemporanei rivelano l’eredità dei classici, veleggiano grazie alla loro spinta.
Non è mia intenzione risvegliare la querelle des anciens et des modernes, anche se molti, oggi, cercano di tagliare i ponti con il passato (superato, illeggibile, inutile rispetto al postumanesimo che viviamo) in cerca di sopravvivenza. Ma non posso nascondermi: molto ho indugiato sui contemporanei, forse persino troppo. Eppure, ritengo che questa direzione di percorso sia felice. Senza dimenticare, ovviamente, che il viaggio personale è stato affiancato da quello scolastico, con liceo e università.
I classici, dal canto loro, hanno un fascino particolare: sono stati testati dalla storia e godono di una qualità certificata. Stare dalla loro parte è rassicurante. I contemporanei sono rischiosi: possono ammaliarti e abbandonarti nel giardino di Armida, a perdere beatamente tempo. C’è infatti un pericoloso equivoco da sciogliere: sostenere i benefici che si riscontrano nel raggiungere i classici a partire dai contemporanei, non significa avvalorare la tesi secondo cui, foraggiando i giovani con le letture più alla moda o “alla loro portata”, formeremo dei lettori capaci di compiere automaticamente il salto di qualità (ma chi sostiene questa ipotesi in genere si preoccupa di formare lettori “forti”, ovvero consumatori di un buon numero di titoli mainstream…). Se a quindici anni leggi Fabio Volo, non è affatto detto che a venti, o a venticinque, leggerai e apprezzerai Proust. Personalmente, anzi, ne dubito. Il salto qualitativo deve avvenire presto e già in relazione al mondo contemporaneo, per quanto sia difficile, nella situazione attuale, districarsi nella miriade di proposte, seguire le vene d’oro con pazienza, scoprire quegli autori sommersi o meno reclamizzati che, il più delle volte, sono la parte vitale della letteratura contemporanea. Ma forse questo è un ulteriore argomento a favore della lettura dei contemporanei: essi ti impongono il problema del giudizio, provocano il senso critico, scatenano la necessità di costruirsi una poetica (e, quindi, una visione globale dell’esistenza), ti impongono il dubbio metodico e il riconoscimento delle ragioni altrui. E, in fin dei conti, ti permettono di guardare al canone con la consapevolezza che anche i giganti del passato possono avere caviglie di argilla e, forse, dietro di loro, per un mero abbaglio dovuto alla prospettiva, si nasconde qualche altro autore “minore” da riscoprire… Del resto, in effetti, la tradizione esiste nel presente, e il presente continuamente la rimodella.

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Grazia La Notte





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