Non è più un mondo da numeri 10. Quattro chiacchiere con Enrico Macioci su Calcio e letteratura

Caro Enrico, hai appena socializzato un pensiero che molti condividono da tempo: siamo diventati un Paese scarso, dal punto di vista calcistico. E continuiamo a sopravvalutarci, quando affrontiamo avversari con una tradizione meno illustre.

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Il docente come ‘studente esperto’

Alcune riflessioni sulla scuola, in base alla mia personale esperienza, e sulle caratteristiche che dovrebbe avere una “scuola a tempo pieno”, senza compiti e impegni di studio da portare a termine dopo le lezioni.

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La sfida, sempre attuale, del poema

Continuo qui il ragionamento avviato nell’articolo Dante, l’insuperabile, apparso su Pangea.

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Il viaggio dai contemporanei ai classici

In un’ideale formazione culturale è meglio seguire la via “scolastica” che, sulla scorta della storia, parte dai classici per arrivare ai contemporanei, oppure è meglio percorrere la strada in senso inverso, partendo dai contemporanei?

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Promuovere la poesia, ma sottrarla alla rete e ai social

Che senso ha pubblicare poesie sui social o più in generale sul web?

Le variabili e le prospettive di fronte a una simile domanda sono troppe. Che se la ponga un giovane esordiente, uno scrittore affermato, un lettore di poesia (ne esistono?), un editore indipendente oppure major, un critico, uno studente, un docente, un operatore culturale o altre figure ancora, fa tutta la differenza del mondo. Vorrei però qui spiegare le ragioni che mi inducono, dal mio punto di vista, a sostenere la necessità di non lanciare, finché possibile, i propri versi online. Con qualche eccezione, magari. Del resto, anche il concetto di “pubblicazione sul web” è troppo vago: la pagina social personale non ha lo stesso valore di un sito accreditato e nevralgico all’interno del circuito letterario, per cui, con le dovute proporzioni, qualche testo rappresentativo che finirà per circolare online non potrà mancare.

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Una nuova stagione poetica

Se con l’autoantologia L’amore e tutto il resto ripercorrevo, pur attraverso sentieri nuovi, la mia prima produzione in versi, con l’uscita su Poesia di maggio-giugno di alcuni inediti avvio ufficialmente un nuova stagione poetica.

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Il successo dei mediocri: il caso Quasimodo

È opinione ormai condivisa che il premio Nobel assegnato a Salvatore Quasimodo nel 1959 fu piuttosto generoso. Il giudizio si è confermato nel tempo, ben oltre la reazione sorpresa e irritata dei protagonisti dell’epoca. Semmai, c’è ancora spazio per la discussione intorno alla “conversione civile” del poeta, su quanto fosse sincera e connaturata alla sua indole o quanto fosse, invece, studiata.

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Esorcismo per il Premio Strega Poesia

Il dibattito intorno al Premio Strega è un tormentone. Perché lo Strega è lo Strega e, come Sanremo, si alimenta e fagocita anche gli oppositori. Chi vince regna.

Come tutti i tormentoni, ti sorprendi a canticchiarlo per noia, anche se ti annoia.

Ora, con queste righe provo a compiere un esorcismo: ci torno su anch’io, per vedere se mi riesce di farlo per un’ultima volta.

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La voce del testo

Questo è il testo del mio intervento al convegno su Poesia e Canzone avvenuto nell’ambito dell’evento BorgoPoesia 2023, già ospitato sulla rivista “Atelier.”

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Sonia Serazzi, aria pulita e niente languore

Chiedo istruzioni ogni notte, dialogo epistolare con Antonio Cavallaro sul tema della fede, edito nel 2022, getta sulla narrativa di Sonia Serazzi una luce sia dirimente sia equivocabile.

All’indietro, sui racconti e romanzi precedenti, quel libro aiuta a comprendere la presenza di un particolare sguardo sulla vita, che era finora uno degli ingredienti segreti delle pagine di questa scrittrice così appartata. Il fortunato esordio di Non c’è niente a Simbari Crichi (2004), seguito e confermato da  … e le ortiche c’hanno ragione (2006), poteva inserire Serazzi, in modo sommario, in una tradizione di letterati pronti a raccontarci un Sud sospeso tra mito e denuncia di perenne arretratezza, con una narrazione che felicemente pesca nei dati antropologici e nel folclore i ritratti forti e popolari dei propri personaggi. Il terzo libro, Il cielo comincia dal basso, dopo un lungo silenzio (risale al 2018), sembrava forse stemperare i tratti più marcati della sua prosa, che non ha mai inseguito trame artefatte ma il dispiegarsi di esistenze (e che bello sentire che non ha senso chiedersi quanto reali e quanto immaginarie), magari nelle pieghe più minute della quotidianità, ma senza cedere al bozzetto, seguendo un ritmo variato e una propria musica in grado di trascinare il lettore dalla prima all’ultima pagina. E, in quella impressione iniziale, le citazioni bibliche che puntellavano la vicenda potevano sembrare un vezzo o poco più. Insomma, Serazzi fino a questo punto poteva anche essere fraintesa e accolta nella schiera di scrittori pur veraci e piacevoli di un mondo, il Sud appunto, in fondo già noto e utile per raggirare le complicazioni di ambienti, situazioni e linguaggi della nostra impaludata modernità, tra lavori improbabili e vite virtuali, tra disturbi esistenziali piccoloborghesi e velleità epocali. Ma il lettore più attento se ne era già accorto e, adesso, dispone di nuovi argomenti: nella narrativa di Serazzi c’è ben di più. Le sue storie non nascono da uno sguardo distaccato, intellettualistico, curioso. Non sono la facile materia per esibire un’arte, esercitare uno stile. La leggerezza mai frivola, l’ironia mai saccente della sua penna sono il frutto di uno sguardo intriso di pietà e di compartecipazione, e lo stile qui non è una posa, un abito, un optional rispetto alla natura intrinseca della voce. Ecco perché i personaggi apparentemente strampalati che ci fa conoscere alla fine ci risultano forti e, paradossalmente, compiuti, anche nel loro destino tragico o banale, a seconda dei casi. La povertà del mondo raccontato da Serazzi è luminosa e pulita. Riciclerei a proposito le parole che, in Chiedo istruzioni ogni notte, l’autrice stessa usa in riferimento alla madre morta da poco:

«Ho letto tutte le lettere d’amore che mamma scriveva a papà, poi le sue agende: raccontava del fuoco in inverno, […] di qualche acciacco, del suo sogno di studiare. Niente languore fra le carte di mamma, solo aria pulita, eppure in questi giorni avrebbe festeggiato cinquant’anni di matrimonio».

(p. 20)

Ecco, nelle storie vivaci e a tratti fiabesche di questa scrittrice non c’è languore, ma solo aria pulita. Il Sud si fa mito non per comodità, non per una fuga dal nostro tempo, ma per disciplina, per una naturale potatura che dà vigore.

In avanti, però, Chiedo istruzioni ogni notte potrebbe generare un nuovo equivoco. Il recente Una luce abbondante, in cui peraltro la religione è un filo ricorrente nell’ordito delle vicende (tra suore che hanno abbandonato il velo e padri tesi a una loro stralunata santità), potrebbe a questo punto lasciar presupporre uno sguardo consolatorio, cauterizzato dai veli di qualche altare. Che si pigli, un simile lettore, lo schiaffo che chiude il libro (così sano e amorevole, ma pur forte), per togliersi anche il minimo sospetto di fideismo bigotto; e rilegga, successivamente, questo altro passaggio da una lettera dell’autrice:

«Mi hanno raccontato che un ricco produttore cinematografico, durante una cena, dichiarava di non sopportare le noiose storie dei poveri. Invece a me basta una vita come l’armadio di mia madre: dentro ci sono quattro cosette, eppure mai mi è capitato di pensare che a mamma mancasse qualcosa. Voglio dire che sempre scopro una pienezza inattesa nella devozione infinita a quello che c’è. Mia madre lavava, lisciava e ripiegava ogni indumento con cura estrema, poi appendeva i capi più belli sulle grucce giuste, quindi profumava tutto con sacchettini di alloro e lavanda. Questo poco che profuma è forse tutta la gloria che dobbiamo cercare.»

Chiedo istruzioni ogni notte, p. 80

Dal niente di Simbari Crichi (e, ora, da Sacravento) in questi anni sembrava procedere un’innocua armata Brancaleone. È il momento giusto per rileggere (o per scoprire, per chi non l’avesse ancora fatto) i libri di Sonia Serazzi, perché nel suo Sud non manca nulla, c’è tutto ciò che serve a una penna acuminata come la sua per raccontarci la scabra, inconsolabile bellezza delle nostre fragili vite, così brevi, così profumate.