Esorcismo per il Premio Strega Poesia

Il dibattito intorno al Premio Strega è un tormentone. Perché lo Strega è lo Strega e, come Sanremo, si alimenta e fagocita anche gli oppositori. Chi vince regna.

Come tutti i tormentoni, ti sorprendi a canticchiarlo per noia, anche se ti annoia.

Ora, con queste righe provo a compiere un esorcismo: ci torno su anch’io, per vedere se mi riesce di farlo per un’ultima volta.

Per un inquadramento generale e completo della faccenda, rimando all’insuperabile Caccia allo Strega. Anatomia di un premio letterario, di Gianluigi Simonetti. Io mi limiterò a qualche considerazione intorno alle due edizioni dedicate alla poesia, che è un mondo completamente diverso e che, se per certe logiche può allinearsi con il premio per la narrativa, per altre ragioni si declina in modo specifico.

Gli intenti alla base dell’apertura dello Strega alla poesia si potranno facilmente trovare in documenti, interventi e interviste sul web. Di fronte ad essi, sarà naturale assumere due posture: quella entusiasta e quella scettica. La prima (più ascrivibile al neofita, in linea di principio) sarà lieta per una nuova e prestigiosa occasione per restituire lustro alla poesia, e per sostenerne la vendita. Sarà anche una nuova spinta gentile a qualcuno verso la canonizzazione; spinta abbastanza robusta, giacché si vivono anni postmoderni di pensiero debole, che legittima qualsiasi poetica e qualsiasi visione del reale. Per lo scettico (più esperto e quindi attempato, in linea di principio), si tratterà solo di un ultimo sussulto per dare ossigeno a una nicchia tanto pullulante quanto priva di valore, entro il sistema letterario odierno: un anacronistico atto di fede in una poesia che, a conti fatti, non conta più nulla (agli occhi del mondo).

Un po’ per goliardia e un po’ per noia, in queste due edizioni mi sono giocato la faccia decretando il vincitore anzitempo. Nero su bianco (sui social), all’uscita della prima lista (con centinaia di libri concorrenti), indicai in modo perentorio, esprimendo i miei complimenti, a Lamarque e a Dal Bianco. Questo avveniva a marzo (il premio viene assegnato a ottobre, coinvolgendo, dopo una prima giuria di esperti, una giuria allargata, diciamo pure “popolare”, anche se composta da altri poeti o “operatori del settore”, come naturale che sia, dal momento che in poesia i pochi lettori sono a loro volta scrittori).

Non sono affatto fiero di aver indovinato. Speravo vivamente di essere smentito dai fatti. Peraltro, altri potranno vantare la stessa preveggenza (si tratta di buon senso e di competenza, non certo di talento divinatorio, ché altrimenti sarei ricco), anche se esprimere a chiacchiere e magari nei modi e nelle occasioni convenienti le proprie convinzioni (sia che ciò avvenga con spirito sarcastico contro il sistema sia che avvenga per sincera approvazione dei poeti indicati) è ben altra cosa che esprimersi a tempo debito, senza mezzi termini, rischiando di essere equivocati negli intenti e di sollevare quindi soltanto antipatia.

Ma il punto non è questo. Il punto è che io avevo indicato il vincitore senza averne letto il libro, e conoscendo solo pochi libri fra gli altri in gara.

Questo che significa?

Mi sembra di poter avanzare queste ipotesi:

a) sono sufficientemente esperto di faccende letterarie (quindi, non solo di opere, ma di come le opere ottengono valore in base al loro posizionamento nel contesto) e, nello specifico, di poesia contemporanea

b) le logiche dei premi sono prevedibili, per chi, appunto, è un minimo competente di faccende letterarie

c) gli autori indicati erano chiaramente di valore superiore, quindi la loro vittoria era scontata (eppure, quando si scende realmente in campo, non è detto che vinca sempre chi è più forte… sulla carta)

d) porto decisamente fortuna (ma a suo tempo mi immaginai Stefano Dal Bianco compiere gesti apotropaici, di fronte al mio post)

Le prime tre mi sembrano ipotesi di buon senso. Ma di buon senso non si nutre l’arte e, spesso, nemmeno il pensiero critico. Non attenuiamo troppo i fatti. Possibile che in queste due edizioni non ci fosse qualche libro imprevedibilmente bello, nuovo, convincente? Possibile che non fosse necessario leggere i testi, per avere la ragionevole certezza su chi avrebbe vinto? Solo la Champions League con il Real di questi anni è altrettanto scontata…

Battute a parte, qui non interessa polemizzare sul premio o sugli autori. Non si vuole surrettiziamente suggerire che hanno vinto libri che non meritavano. E tuttavia, com’è possibile che un premio risulti così prevedibile, persino senza aver letto un libro? Anche in narrativa, in questi anni, Simonetti indicava la fisionomia dei libri “scritti per lo Strega”, con un profilo insomma “adatto al Premio”. Ma, almeno, si entrava nel merito di tratti testuali.

Tentiamo anche per la poesia qualche spiegazione plausibile.

Non c’era bisogno di leggere i libri perché

1) gli autori erano talmente bravi e superiori agli altri da poter scommettere su di loro a scatola chiusa (secondo quanto già indicato poco sopra, al punto C). Ciò tuttavia ha un’implicazione decisiva: difficilmente il nuovo libro di un poeta sarà sorprendente, giacché i poeti italiani sono precocemente maturi e la continua riscrittura di sé stessi non viene recepita come un difetto di creatività e di reattività rispetto al proprio tempo, ma come apprezzabile coerenza;

2) il premio, come velatamente taluni suggeriscono, è rivolto più alla carriera che all’opera (e non essendo un concetto chiarito in partenza, ne deduciamo che è un altro implicito nel mondo della poesia, dove non contano i testi, ma l’autore, che si può valorizzare solo quando la sua opera, tendenzialmente ripetitiva, avrà dato corpo a un numero importante di titoli)

Le diverse istanze non si escludono necessariamente a vicenda, anzi.
Tutto si tiene. E tuttavia, che noia. Nulla di imprevedibile sta accadendo, oppure: nulla di imprevisto viene registrato. La poesia, o la carriera poetica, è persino programmabile.
Prima o poi, certo, come i Jalisse a Sanremo, vincerà lo Strega Poesia un outsider, magari per colpa di qualche ingranaggio della filiera inceppato. Probabilmente ci sarà qualche sorpresa anche quando si vorrà dimostrare che non è vero che le logiche sono prevedibili (come quando a Sanremo avrebbe dovuto vincere Mia Martini). Congiunzioni astrali molto particolari. Persino Quasimodo ha vinto un Nobel, del resto.
Ma intanto.
Intanto l’editore continua a pesare. Oppure il ruolo sociale ricoperto dall’autore (parlerei pure di pedigree: in Paradiso il co-protagonista è il cane Tito). Se insomma appartieni alle parti alti della filiera, per esempio pubblichi con editori maggiori e lavori all’università, hai molte più probabilità di vincere, rispetto a chi esce con editori minori o insegna alle scuole medie.
Per carità, non datemi del comunista. Non c’è polemica nella mia constatazione (del resto io, come capitò a Zanzotto o come capita a Giovanna Frene, per restare tra i finalisti di quest’anno, insegno alle medie e nel mio caso è facile indovinare che ciò dipenda, semplicemente, dal fatto che non sono abbastanza bravo per insegnare all’università).

Comunque, nel frattempo ho letto Paradiso. Mi ha fatto venir voglia di riprendere anche La collinetta di Giuliano Donati (libro del 2001). E ho pensato anche a Damiani, con la sua analoga poesia di stupore di fronte al paesaggio. Nella differenza di registri, associavo già in Poeti nel limbo Damiani e Dal Bianco come due classicisti, rappresentanti di aree diverse (romana e lombarda). Completerei la costellazione aggiungendo Umberto Fiori, più classicista di quel che sembri, ma soprattutto interprete (diverso) di una poesia di stupore, nel suo caso espresso più esplicitamente di fronte al linguaggio stesso, o al paesaggio metropolitano. Traiettorie e rapporti delineati vent’anni fa.

Anche questa vittoria allo Strega 2024, dunque, parte da molto lontano.
La poesia è sempre un lungo viaggio.
La storia è scritta dai vincitori.
Ogni narrazione storico-letteraria comporta un grado di falsificazione.
Ma, ripeto, tutto questo NON significa che Dal Bianco non meriti, Strega o non Strega, la massima considerazione. Per me, era ben dovuta già prima, fin da quando pubblicava con Crocetti. Ma se qualche autore non ancora riconosciuto già meriterebbe una certa considerazione, si metta il cuore in pace: l’Italia è un paese gerontocratico. Ed è già un bel dire, siccome spesso ci si accorge del valore di un poeta quando non c’è più.

Quindi, non c’è polemica nel mio gioco da indovino. Del resto, ho vinto facile.

Ma, allora, che cosa c’è, in fondo a questo ennesimo disquisire sullo Strega? C’è il riconoscimento dell’ingrediente opposto a quello che rende Paradiso un libro sufficientemente poetico per lo Strega.
Per vedere anzitempo il vincitore dello Strega, accanto a un po’ di competenza, occorre solo la giusta dose di disincanto.

P.S. Ma se davvero avessi capacità divinatorie? Se davvero portassi fortuna? Tentare non nuoce: complimenti a Thiago Motta per aver riportato la Champions a Torino!

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