Assaggi di libri (3)

Dulcis in fundo, due libri delle edizioni Aguaplano (che non conoscevo). Per ragioni diverse, si tratta di libri che otterranno spontaneamente tutta la mia attenzione.

Il primo è per me prezioso in partenza perché ho molto apprezzato, tre anni fa, il romanzo del suo autore, Fabio Greco (ho recensito Il nome dell’isola qui). Ed è un altro libro di poesia: Ragli

Lo ammetto, se non conoscessi l’autore, il primo impatto con il libro mi avrebbe suscitato qualche perplessità. A sfogliarlo, i sette poemetti si dispiegano come una collana quasi ininterrotta di più pagine in versi brevi, brevissimi, spesso di una sola parola. Mi ricordano certa poesia ispana, alla maniera delle Odi elementari del cileno Neruda, per intenderci.  E qualcuno dirà: bene! Io invece sono scettico – questioni di poetica, di scelte. A me sembra che questa poesia senza forma abbia fatto il suo tempo – azzardo in sintesi, esagerando. E, sfogliando, trovo amenità tipografiche di vario genere. Ma, come dicevo, l’autore per me merita credito a priori, e poi ci sono altri indizi che mi rassicurano: il titolo, a suggerire la naturalezza di una pronuncia fedele alla sua natura (e quindi, paradossalmente, ciò che a me pare assenza di forma potrebbe essere esattezza di voce); la lingua, aperta a varie reinvenzioni e pastiche; l’invocazione, tramite le dediche, di precisi e non banali mentori: Testori, Doninelli, D’Arrigo. Sì: non ho dubbi, questo è un libro da affrontare con attenzione. Qualunque sarà il giudizio, mi porterà a contatto con un autore a tutto tondo.

E mi congedo degli assaggi anche in questo caso:

Chi frio
in de l’altura
d’esto monte
chi tempaccio
a qua fora.
Sbrigate Testoraccio
no ‘l vedi
chi rabbrividi e tossi
sanguo? Riparate
in de altro loco
o ghiesa
o tempio:
la to saluti è fragile.
Il monrosa scuroso
minaccia
tenebre,
ombre,
i venti
squassano
e sconquassano,
rotola il trono,
scivola
trombola e rimbambola
a pugni chiusi
d’in su la tierra,
lumina e darlampa il fulmine
incenerendo l’aria
gridando a l’ommini ‘na bestemmia:
iss è ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
ommo ommo ommo
il monrosa è golgota
piangion li statue
la creta è crito
de dolori
urlo
strazio
fiero silenzio
de le genti patute,
de piemonte,
de l’alpe e de la valle
chi vegnon a guardarse
li tre croci.
Lì, el gozzuto
offre vigliacco sfregio,
Grimàs ladrone
insulta e provoca,
il bon Dimàs
capisce e prega,
s’affliggono le pie donne
a trattenere lo slancio
de la madre.
[…]

Sugli scaffali fra Testori, Fo e Bene, questo libro troverà il suo posto e, quando sarò pronto, mi farò masticare da questa lingua selvatica e dotta, nobile e asinina.

E un posto ben preciso tra gli scaffali lo troverà anche l’altro libro del medesimo editore, ma di natura ben diversa, come si capisce fin dal titolo: Insegnanti (il più e il meglio). Di libri dedicati al mondo della scuola ne esistono parecchi, fra raccolte di aneddoti, saggi, reinvenzioni narrative di vario tipo (io stesso prendo la scuola come uno dei palcoscenici del mio romanzo). Si tratta ormai di un genere ben frequentato, per tante ovvie ragioni. Ma ho l’impressione di aver già letto qualche articolo di Roberto Contu sul web. Apro a caso, e nemmeno a farlo apposta incappo in un brano che mi riporta alla memoria tutto l’intervento:

Sì, proprio la lezione frontale, docente di fronte agli alunni, messi all’antica: l’uno in cattedra, gli altri seduti dietro i banchi a due, il libro o una fotocopia, nient’altro che voce e gessetto.
Per scelta e aspirazione.
Sebbene personalmente in grado di capire e mettere a sistema quanto di meglio le nuove tecnologie ma soprattutto le nuove metodologie possano offrire. Al netto dei fiumi di parole spese negli ultimi anni sulla didattica innovativa. Consapevole di tutti i processi sommari di ogni grado a un sistema d’istruzione unidirezionale considerato obsoleto e improduttivo. Io so che, per quanto mi riguarda e per via del tutto induttiva, i risultati migliori a scuola li ho ottenuti e li ottengo tuttora con lezioni frontali. Con una precisazione essenziale: a oggi, dopo diciassette anni di insegnamento, un dottorato e un impegno attivo nella ricerca letteraria e didattica, posso dire di saper fare lezione frontale, per come la intendo, solo su alcuni argomenti: quelli che conosco molto bene.

Una sbirciata alla notizia biografica sull’autore mi rassicura anche sul sito che consulto abbastanza regolarmente. E allora non ho dubbi: questo sarà un testo da usare, e che mi capiterà forse di riprendere, in qualche ragionamento futuro.

Ecco dunque uno squarcio sulla fenomenologia della lettura, per come si svolge in me, almeno nella fase preparatoria. Primi rituali approcci; attivazione di orizzonti di attese; presa di coscienza dei pregiudizi e voglia di rimetterli al testo, alla sua forza di risemantizzazione dell’esperienza; assaggi preparatori; consegna al tempo, tra illusione di metodo e imprevedibili ventate che scombinano i piani. Finché, per un verso o per l’altro, si impone la lettura vera, il corpo a corpo con il testo e il possibile miracolo di una voce in grado di portarti altrove, per poi restituirti, irrimediabilmente mutato, e più ricco, al qui e ora.

(L’immagine di copertina – cliccare sulla stessa per la visualizzazione estesa – è di Teresa Palombini)

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