Scuola: principi del cambiamento (1)
Se in Italia esistesse davvero una forma di meritocrazia, e se gli istituti scolastici avessero fondi e una reale autonomia, ci potremmo immaginare una schiera di docenti qualificati e ambiti da tutti, pronti ad accettare le proposte professionali più allettanti.
Non è detto, però, che questo sia uno scenario auspicabile. La concorrenza sarebbe feroce, il tecnicismo imperversante, la qualità misurata in una prospettiva di profitto economico. E non è il singolo docente che alla fine fa la differenza, ma il lavoro di squadra. Tuttavia, molte scuole avrebbero la possibilità di avviare sperimentazioni e progetti anche arditi. Oggi, invece, ogni nuovo ministro sogna una riforma per tentare di impiantare, dall’alto, una nuova visione, ma non c’è verso, le resistenze della struttura scolastica sono insuperabili. I dirigenti scolastici si destreggiano come possono. I docenti, già sottopagati, sono spesso demotivati e scettici di fronte a ogni tentativo di rinnovamento. Anche le leve più fresche, passate attraverso recenti corsi abilitanti di varia natura, che hanno cercato di inculcare in loro i principi pedagogici più assodati eppure ancora mai pienamente realizzati, vengono assorbiti dalla complessità dei punti di vista. Così le buone pratiche scolastiche ci sono, ma restano legate a quella sezione fortunata, a quel docente illuminato. Non diventano sistema.
Perciò, per quel che mi riguarda, il primo principio per compiere un rinnovamento della scuola è, purtroppo, molto idealistico. Per cambiare un istituto scolastico (e non parlo nemmeno della scuola in generale) occorre un manipolo di docenti affiatati, capaci di mettere insieme i punti di vista in un progetto coerente, di contagiare gradualmente i colleghi più resilienti, e soprattutto decisi a investire le loro energie oltre la logica retributiva.
Sul perché dovrebbero compiere un simile passo, ho già detto qualcosa. Ma vorrei cercare di individuare una logica meno volatile.
Va bene l’entusiasmo, infatti, vanno benissimo la passione e il senso di responsabilità per le persone a cui si rivolge la propria attenzione, ovvero i giovani, ma c’è anche una visione più strategica dietro a questa scelta. Intanto, se un tale gruppo di avanguardia si costituisse in seno a ogni istituto, se avesse la forza di resistere nel tempo, finirebbe sicuramente per imporsi sugli altri. La qualità, alla fine, si riconosce. Verrebbe premiata dai dirigenti, pretesa dalle famiglie e dagli studenti, apprezzata, anche se a denti stretti, dai colleghi. E, prima o poi, questo si trasformerebbe in un ritorno, perché la scuola è un volano per il rilancio complessivo della società, anche a livello economico. Le prime forme di guadagno sarebbero comunque altre: dopo un potente investimento di tempo, una scuola rinnovata garantirebbe un impegno più leggero, creativo ed efficace. Questo si tramuterebbe in una migliore qualità di vita, in soddisfazione personale, in un ambiente di lavoro gratificante.
Lo scopo di queste righe, comunque, non è certamente quello di convincere. Non se ne esce: o il desiderio di cambiamento verrà ascoltato e assecondato liberamente, o la scuola non si rigenererà. Sarà, a un certo punto, barbaramente cambiata.
Il primo principio da considerare per il cambiamento è dunque la libertà.
D’accordo su tutta la linea. Mi permetto due chiose. In molte scuole un gruppo motivato e motivante esiste già, si tratta di incoraggiarlo a continuare e qui il ruolo dei “vertici” è davvero importante, e non mi riferisco solo a mera retribuzione ma alla valorizzazione delle persone con la professionalità che portano con sé e si può realizzare in molti modi. L’altra nota è la seguente: in un gruppo affiatato si lavora meglio, si ottengono risultati incoraggianti, ci si consiglia e consola delle sconfitte e molti preferiscono comunque questa condizione ad un aumento di stipendio in un sistema di relazioni tra colleghi che cercano solo di pensare a sé o di ostacolare gli altri. Quello che funziona per gli adulti a maggior ragione funziona per i ragazzi. Anche fra di loro il “fare gruppo” costruendo relazioni significative facilita l’apprendimento, e non sto dicendo nulla di nuovo. Infine: imparare a lavorare insieme si può e si deve: buone “guide”, allenamento costante e contagio positivo possono davvero molto, a vantaggio di tutti. Grazie per le tue riflessioni.
Cara Monica, le tue chiose sono un’ottima integrazione al mio intervento. Grazie