Una sorta di sobrio vangelo personale (di Paolo Febbraro)
La declinazione è spesso quella allegorica: Temporelli svolge la sua argomentazione più grazie alla poesia che attraverso di essa
L’annata è stata prodiga di testi poetici ascrivibili alla nuova leva. Lo testimonia fra gli altri Andrea Temporelli, con Il cielo di Marte (Einaudi). Temporelli replica il titolo del suo cripto-esordio del 1999, dimostrando la misura e la saggezza di un libro breve ma denso e di alto profilo discorsivo. La declinazione è spesso quella allegorica: Temporelli svolge la sua argomentazione più grazie alla poesia che attraverso di essa. Il tasso di figuralità è alto, ma ordinato e costante, il soggiogamento della rima si prende tutte le distanze possibili per non cadere nel sospetto della cantabilità. Nella prima parte del libro avviene, così, che quel discorso rischi di apparire raziocinante, forzoso, astratto. Come se l’autore avesse paura di esprimersi correntemente, e dunque passasse i sentimenti quotidiani di amante-sposo, di amico e di insegnante al filo spinato di un linguaggio armato e dignitoso. Anche le narrazioni più intime, come ad esempio Infrapensieri del giovane uomo, hanno una dignità esemplare da canzone dottrinale duecentesca, con l’ampia tessitura delle rime, le parentesi riflessive e ammonitrici, il fraseggiare cospicuo.
Nella poesia di Temporelli ci sono allocuzioni alla donna, ritorni alla casa avita, dialoghi fra amici al bar, riflessioni sull’insegnare, familiarità da verificare nel distacco. Tutta una serie di momenti semplici assume il vigore di un’idea che sembra dominare le parole e spingerle nella retorica, spesso la migliore, irrobustendole, ma anche facendone promesse non sempre esaudite, prosciolte. A volte sull’orlo di qualche facile incanto, Temporelli ha sempre la forza (non soltanto quella di volontà) di rialzare il discorso, di svolgere le premesse, di compiere la propria scrittura, come se a lei spettasse la registrazione dilemmatica e ricca di una vita suddivisa in tappe, sviluppi, soluzioni, fioriture: una sorta di sobrio vangelo personale, che indica e ammaestra grazie anche alla vigilanza di un «cielo» un po’ oneroso, ma onnipresente. Ecco la prima strofa di Parabola dei padri (titolo davvero evangelico, esemplare, pedagogico), dove Temporelli apre e chiude con delle immagini fin troppo condivise, ma riserva un cuore più discreto dove pensiero e immagini si fondono perfettamente:
I padri con lo sguardo all’orizzonte
sono invecchiati aspettando qualcuno
che se n’è andato presto
per inventarsi le proprie fortune.
E come tutti i vecchi sono fonte
di una saggezza inutile (anche il resto
della loro ricchezza è per nessuno,
per la colpa di avere
parlato troppo, senza
ascoltare) Ora iniziano a tacere,
o inventano strazianti tiritere
per colmare l’assenza.
Forse qualcuno ascolta
dietro il muro di cinta.
Magari qualche volta
risponde con un verso d’animale,
con la lettera anonima respinta.
Non è un gesto normale
dare ad altri attenzione
quando non sono niente.
È virtù che ci nasci
confidare nei figli che ti lasciano,
misura di una mente
che affonda la memoria nel futuro.
(Paolo Febbraro, Editoriale, in Poesia 2006. Annuario a cura di Paolo Febbraro e Giorgio Manacorda, Castelvecchi, Roma 2006, pp. 42-44)
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