Marco Merlin, Nel foco che li affina (2009)

Un incendio doloso (di Guido Mattia Gallerani)

Avremmo forse voluto ricevere da Merlin, conoscendo le sue potenzialità, un qualche segnale di maggiore fiducia

Dal trovatore provenzale, dall’Arnaldo Daniello dantesco, e dal suo fuoco purificatore è colta la citazione del titolo. Marco Merlin, con questi saggi apparsi fra il 1997 e il 2001 sulla rivista «Atelier», di cui è co-direttore, cerca parimenti quello strumento che possa chiarificare le opere di alcuni poeti di lungo studio, oggi riuniti sotto l’egida di un nuovo contenitore. Il percorso non avrà le false pretese del canone compilativo: quasi come il viaggio di Dante, ambirebbe piuttosto all’incontro con alcune figure della propria passione poetica nell’affinamento della conoscenza di una materia, come la poesia dei nostri ultimi anni, affollata quanto mai attorno a un purgatorio italiano troppo stretto. La direzione seguita da Merlin è quella del percorso attraverso due o tre generazioni: i capitoli procedono da una Nostalgia di futuro con due monografie cronologiche che ripercorrono quasi interamente la produzione di Giudici e di Raboni; attraversano la tappa intermedia de L’erede immaginario dove è vagliata l’opera aggiornata alle ultime uscite di Cucchi, Viviani, De Angelis; e concludono a Nel cuore dell’orfanità con interventi più mirati su Carifi, D’Elia, Fiori e Magrelli, in cui sono soprattutto singoli libri che diventano rappresentativi. Già dai titoli dei capitoli s’esprime l’approdo di Merlin a un giudizio complessivo sulla poesia italiana contemporanea in perdita rispetto all’eredità antecedente, costituita in questo caso da due esponenti maggiori come Giudici e Raboni dopo le importanti prove della “terza generazione”. Inevitabili alcune omissioni per saggi oggigiorno così datati. Alcune vengono confessate preventivamente: come il mancato aggiornamento della produzione di De Angelis con Tema d’addio (2005). Altre restano invece sospettosamente taciute: nel saggio su Raboni almeno un incontro fortuito con Barlumi di storia (2002) era, se non obbligatorio, almeno atteso. Si segnalano ricostruzioni critiche eccellenti che concernono, per esempio, Viviani, Fiori o Magrelli, al cui fianco fanno forse più riflettere interventi come quello sulla poesia di Carifi, eccessivamente celebrativo (nonostante un ambiguo finale). In sostanza, all’interno del quadro cronologico e interpretativo di Merlin, le certezze non mancano, i singoli dettagli sono ben messi in risalto; ciò non toglie che il percorso che segna la poesia italiana di Merlin lungo opere di diversa età sia quella di una discesa piuttosto che di una risalita verso le cime del monte poetico italiano. Avremmo forse voluto ricevere da Merlin, conoscendo le sue potenzialità, un qualche segnale di maggiore fiducia, affinché il necessario “fuoco critico” non rischi di diventare un incendio doloso che consumi la contemporaneità stessa della nostra poesia.

(Guido Mattia Gallerani, rec. a Nel foco che li affina, «Punto. Almanacco della poesia italiana», 1 – 2011, pp. 77-78)

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