Globale e locale in poesia

Per quanto possa essere suggestionato da un’idea planetaria della letteratura, è ovvio che qualsiasi tradizione sussiste solo nella pluralità dialettica delle tradizioni e niente meglio dell’arte dimostra il principio per cui è il particolare la radice dell’universale.

Così, ben vengano le iniziative per promuovere le linee regionali della poesia (il poeta Gianni Priano, per esempio, in questi giorni andava pubblicando immagini di studi sulla “linea ligure e genovese”) o la rilettura di scrittori poco noti. E ho già più volte ribadito la nobiltà intrinseca anche della poesia minore.
Tra l’altro, ciò che non riscontra il riconoscimento immediato, non è detto che non riesca in futuro a ottenere la dovuta attenzione. Perché ciò resti possibile, comunque, è necessario operare, serbare memoria, prestare cura anche e soprattutto a ciò che sfugge ai riflettori puntati sulle star dell’epoca.
Questi sono i pensieri che mi vengono mentre sfoglio e rileggo, in questi giorni, tre libri, di due autori finora lasciati ai margini dalla critica: Bino Rebellato e Venanzio Agostino Reali.
Leggo il primo grazie a Marco Munaro, curatore di un libro graficamente splendido, pubblicato dalle sue edizioni Il Ponte del Sale, nella collezione di classici “Gli alberi capovolti”: Bino, In nessun posto e da per tutto. Poesie 1929-2004. «Collocabile tra Betocchi e Caproni (con i quali ha tessuto un ininterrotto colloquio quotidiano) e di fronte a Zanzotto, Rebellato ha continuato a cercare il verso che non ha mai scritto, mutando e rimutando i versi scritti durante l’intera vita. Egli ha sempre lavorato a singole poesie come a poemi infiniti, ciascuno dei quali appare isolato dagli altri in virtù di una sua grazia irripetibile; intuita in un attimo ma raggiunta solo a prezzo di un lavoro senza fine; allo stesso modo Rebellato si è misurato con alcuni grandi temi universali ma anch’essi affrontati come per istinto simultaneamente e mai esauriti del tutto: sono i grandi rami della sua poesia. Rebellato ha affermato che un uomo può disporre “soltanto di cinque, sei attimi di vera vita, cioè di poesia, non altro”. Sono attimi durati tutta la vita, ciascuno dei quali torna a brillare ogni singola poesia e nelle varie sezioni in cui abbiamo diviso questo libro».
Il secondo (frate cappuccino, teologo e biblista, anche pittore e scultore) è forse ancor meno noto del primo, malgrado alcuni critici come Ezio Raimondi e Alberto Bertoni si siano premurati di introdurre il suo Nóstoi. Il sentiero dei ritorni (Book editore, 1995 e 2008), seguito poi da Primaneve (2002). Leggo questi libri grazie a Bruno Bartoletti, che generosamente me li ha inviati.
Io purtroppo sono da qualche anno fuori da ogni prospettiva di critica poetica, ma proporre qui di seguito qualche verso dei due poeti è un gesto tanto povero e semplice quanto sincero con cui vorrei rendere loro omaggio.

Bino Rebellato

QUESTA NOSTRA POVERA OPERA
.                                         Al mio grande amico Carlo Betocchi

Questa nostra povera
opera di ogni giorno

e di anni e secoli
di cui non sa nessuno

il fine il segno,
che qui non ha radici

e non muove da noi,
che dolorosamente avanza nei millenni

PREVALE SUL VEDERE

Estati amare
quando la luce non scende più
e affondano le cose
dentro squallidi toni
di un sottomondo o sopramondo
che ci tiene a fiato sospeso,
e sfumano via; e il non vedere
prevale sul vedere;
e il mondo appena in una nostra idea

RISPOSTA A UNA LETTERA
DELL’AMICO GIORGIO CAPRONI

Mie povere parole
segni dispersi
in pochi fogli

le tue le mie parole
da impuro sangue
da vermifero fango

altri verranno
a cancellarle
a ricomporle nuove

a coglierne altri
ancora a noi
ignoti sensi

CHI TI STA SEMPRE A CUORE SOPRA OGNI COSA

Chi ti sta sempre a cuore sopra ogni cosa
e più profondamente vuoi conoscere
è in nessun luogo
e da per tutto.

Agostino Venanzio Reali

ANALOGO A TUTTE LE COSE

Per dove esularono le diomedee
dagli occhi tirreni
cerco la luce d’acqua
e il lume delle ninfee.
Mi scopro analogo a tutte le cose,
sebbene sarà necessario
eludere l’offerta
di forme cangevoli
per evadere dal cerchio
di ieri e di domani
e salvarmi nell’oggi.

LA BRANDA

Mi ci sono abituato
quasi ad amarla la mia branda
sotto il riverbero al soffitto
della neve recente;
la mia branda cigolante
senza il sole d’una ragazza
sotto l’arco delle diane,
senza le mani d’una donna
per le mie inermi,
incapaci di fare il pane,
tese allo stupore dell’alba.

SELVA DI MANI

Amici
quando le mani
ci sognava Adonai
sorridendosi alla mite immagine…
perché poi si graffi la terra
e per quale amore non so.
Ma il nostro sognato eldorado
non ci colma né calma.

Resta a tremare nell’aria
una selva di mani.

PRIMANEVE

Hai tu la dolce memoria
premente l’anima adulta
di quando la neve
la prima volta vedemmo
sulle tettoie cadere?
C’erano i merli neri;
girellava il cane di Egisto
lungo la siepe, annusando;
e una luna strana batteva al soffitto.
Le rame ovattate tramavano
l’aria grigia, immobili
corna di cervi imbalsamati;
il gatto faceva le fusa
presso la brace disfatta
e il breve canto dei passeri
lontano sotto i petali freddi.
Dolce nescienza non sapere
donde venisse la neve.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *