Insegnare: dalla teoria alla pratica
Non sono un teorico e non ho mai sopportato, nelle svariate occasioni di aggiornamento a cui mi sono sottoposto, le lezioni frontali degli esperti che mi spiegavano come occorresse superare la lezione frontale nella scuola del nostro tempo. Per questo motivo aggiungo, alla presentazione di ieri, qualche postilla dettata dall’urgenza di riportare subito nella pratica le considerazioni intorno alle dodici strategie didattiche proposte.
Oggetto: diapositive che riprendono il discorso delle slide precedenti e suggeriscono un piano d’azione per la scuola.
Destinatari: docenti della scuola secondaria, di Primo e Secondo Grado.
Osservazioni: le diapositive di questa presentazione contengono troppo testo, ma sono state concepite piuttosto rapidamente per un momento di formazione.
Aggiornamento: settembre 2016
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Ho letto e scaricato le slide per me e per i colleghi e ti ringrazio. Aggiungo qualche considerazione poiché sono reduce da alcuni corsi di formazione sulla programmazione di unità di apprendimento e valutazione delle competenze, nuovo “obbligo” per i docenti della secondaria di primo grado, ordine nel quale insegno. All’inizio ero piuttosto perplessa su molti aspetti, devo ammetterlo, alla fine invece ho rivisto in parte il mio pre-giudizio. Non sono l’insegnante tradizionalista e neppure l’innovatrice a tutti i costi, cerco piuttosto di coniugare le mie “certezze” e pratiche consolidate con spunti nuovi e interessanti che raccolgo da varie fonti. Anch’io, come tutti, lavoro con colleghi di formazione e scelte didattiche le più diverse. Tra le nuove proposte trovo alcuni punti irrinunciabili e li propongo alla riflessione comune.
In primo luogo è necessario rinnovare la modalità della didattica che deve diventare sempre più (anche se non esclusivamente) laboratoriale ossia deve porre al centro l’alunno che deve lavorare in prima persona, attivamente, magari per arrivare ad una meta concordata o proposta con motivazioni chiare e condivise. In secondo luogo i ragazzi devono essere aiutati a riflettere sul loro percorso, e anche ad auto valutarsi secondo criteri dati, condivisi e chiari. Se poi il compito finale è ancorato alla realtà o comunque vi è piuttosto vicino (i cosiddetti “compiti di realtà”) sarà più facile coinvolgere e motivare anche i ragazzi più refrattari alle proposte d’aula… Fondamentale il supporto tra colleghi e il lavoro di dipartimento di materia, aggiungo anche, se possibile, lo “sperimentare” prima le pratiche didattiche su di sé e poi sugli alunni. Di recente l’ho vissuto provando un lavoro in cooperative con i colleghi poi proposto agli alunni con una buona riuscita e grande soddisfazione di tutti. La riflessione potrebbe continuare ma non sono una formatrice, solo una che sperimenta su campo tutte le mattine in aula perciò mi limiterò nel mio intervento e arriverò in fretta alle mie conclusioni. Tutti abbiamo bisogno di mettere in discussione qualche aspetto del nostro lavoro seppur svolto con dedizione, passione e competenza. E ciò rappresenta una difficoltà e una sfida. L’unica parola bandita, secondo me, è “pigrizia” o rifiuto a priori, su tutto il resto possiamo discutere. Auguro a tutti i colleghi che passeranno di qui, davvero buon lavoro!
P.S. Sia detto senza intento polemico, credo che la zona più refrattaria al cambiamento sia costituita dai docenti della secondaria di secondo grado nei quali trovo poca propensione al cambiamento e molto conservatorismo, qualche volta di comodo… Lo dico più come genitore che come docente, dato che la mia esperienza al biennio delle superiori risale a parecchio tempo fa. Oggi pomeriggio mio figlio sta svolgendo dei compiti impegnativi e non ha la più pallida idea del perché, neppure di cosa potrà imparare facendoli o di dove arriverà a fine percorso. E gli esempi potrebbero continuare. Posto che lui si impegnerà comunque questo mi fa pensare, ovviamente. Se poi qualcuno mi smentisse alla prova dei fatti ne sarei davvero contenta!
Cara Monica, grazie per la testimonianza. Purtroppo credo che tu abbia ragione, sulla differenza di atteggiamento tra “medie” e “superiori”, con tutte le dovute eccezioni. E i motivi di ciò sono vari. Ti cito la frase di un genitore, col figlio allo scientifico, intervenuto dopo che gli stavo raccontando alcune novità apportate nella mia scuola: “Alle medie ancora ancora, ma alle superiori… Potrei passare i miei appunti, di quando frequentavo io lo scientifico…”. Per carità, la tradizione ha tutte le sue buone ragioni, ma l’insegnante che viene in classe, si siede, e legge i suoi appunto no, proprio no…