Allegria pedagogica
“Si dia ampia facoltà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento…”, ricordava don Bosco, spesso criticato per il clamore che regnava nei suoi oratori, che sconcertava anche molti prelati.
Così scriveva nel 1868 mons. Gaetano Tortone in merito a Valdocco: “Mi accadde più volte di visitare quell’istituto nelle ore di ricreazione e le confesso che provai sempre un’impressione ben penosa al vedere quei chierici frammisti agli altri giovani che imparavano la professione di sarto, falegname, calzolaio, etc. correre, giuocare, saltare ed anche regalarsi qualche scappellotto con poco decoro per parte degli uni, con poco o niun rispetto per parte degli altri. Il buon don Bosco, pago che i chierici stiano con raccoglimento in chiesa, poco si cura di formare il loro cuore al vero spirito ecclesiastico e di infondere per tempo in essi quei sentimenti di dignità per lo stato che vogliono abbracciare”.
Fermo restando che l’allegria così cara a don Bosco non va presa per confusione, uno dei tratti distintivi degli ambienti salesiani è certamente il clima di festa, di libertà espressiva. Non esiste scuola salesiana che non sia integrata con il cortile.
Spesso a fare da tramite tra l’aula e lo spazio aperto è la figura strategica del salesiano “catechista”, del giovane novizio, ma anche i docenti sono chiamati a coniugare con efficacia non soltanto i momenti di passaggio, per garantire la giusta differenza tra l’attività sui banchi e quella ricreativa, ma anche la continuità e la contaminazione che ci deve essere all’interno della “casa salesiana”.
Espresso chiaramente e sinteticamente: anche le lezioni dovrebbero risultare allegre, in un istituto salesiano. Certo, non si potrà saltare, correre e schiamazzare a piacimento, ma il ragazzo non può passare dalla gioiosa espressione delle proprie energie alla costrizione fisica e depressiva che caratterizza così spesso l’impostazione della didattica in aula.
Del resto, qualsiasi forma di apprendimento disgiunta dal piacere nasconde qualcosa di perverso.
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