I buchi nella poesia
Talvolta bastano accorgimenti minimi per creare un diversivo e rendere divertente ed efficace un’attività scolastica banale. Per esempio spesso durante la lettura di un brano mi interrompo improvvisamente, per vedere se gli studenti indovinano la parola che segue. In questo modo si rintuzza l’attenzione e si stimolano le competenze testuali, in un clima persino ludico.
Quest’anno mi è capito di presentare alla lavagna alcune poesie, che andavano semplicemente ricopiate sul quaderno. Ecco la prima, presentata in modo un po’ particolare:
⊗⊗ ⊗⊗⊗⊗⊗
E cielo e terra si mostrò ⊗⊗⊗⊗ ⊗⊗⊗:
la terra ansante, livida, in ⊗⊗⊗⊗⊗⊗⊗⊗;
il cielo ingombro, ⊗⊗⊗⊗⊗⊗⊗, disfatto:
bianca bianca nel ⊗⊗⊗⊗⊗⊗ tumulto
una ⊗⊗⊗⊗ apparì sparì d’un tratto;
come un ⊗⊗⊗⊗⊗⊗, che, largo, esterrefatto,
s’aprì si chiuse, nella ⊗⊗⊗⊗⊗ nera
Avrete sicuramente riconosciuto la celebre poesia di Pascoli, Il lampo.
Occorreva rimediare all’inconveniente, dovuto a uno strano virus – raccontavo loro, studenti di prima media – che aveva colpito il mio computer. Per indovinare le parole, era necessario seguire le indicazioni del docente, che invitava a osservare la poesia. Attraverso minime indicazioni di metrica, gli studenti potevano capire “la lunghezza” della parola mancante. Seguendo i rapporti grammaticali, si intuiva quale parte del discorso mancasse (verbo, nome, aggettivo…).
Per disciplinare la classe, qualora il clima diventi troppo effervescente, basterà assegnare a ogni alunno un numero limitato di tentativi, uno o due. Per stimolarla, invece, si potrà aggiungere punti e scatenare la competizione (con tanto di voto finale, perché no?), per esempio 100 punti per ogni parola che sarebbe potuta andare comunque bene, 500 punti per ogni parola azzeccata, addirittura 1000 punti nel caso di una parola che sarebbe stata persino migliore di quella scelta dal poeta (secondo insindacabile giudizio del professore, con tanto di motivazione, ovviamente).
Nel mio caso, chiesi di copiare i testi (in modo da favorire una lenta osservazione) lasciando i “buchi”, da riempire poi a matita, per arrivare a controllare passo dopo passo i risultati e giungere al punteggio finale. Il titolo andava indovinato per ultimo, dopo aver ricostruito il testo della poesia.
Non sono mancate ovviamente piacevoli sorprese, durante il gioco. Ci fu per esempio chi riuscì a indovinare (forse seguendo la mia mimica) che cosa mai potesse “aprirsi e chiudersi” all’improvviso. Malgrado l’aiuto della rima (che cosa mai farà rima con “tumulto”?) nessuno completò correttamente il secondo verso. Qualcuno capì che “nera”, alla fine del testo, non poteva che essere la notte. Tutti rimasero affascinati dall’aggettivo (ma che significa?, chiese qualcuno) che caratterizzava il tumulto: creava addirittura un’allitterazione e un ossimoro nello stesso tempo!
Il gioco è stato ripetuto, il giorno dopo, con un’altra poesia di Pascoli, che naturalmente non poteva essere che questa:
⊗⊗ ⊗⊗⊗⊗⊗
E nella notte nera come il ⊗⊗⊗⊗⊗,
a un tratto, col fragor d’arduo ⊗⊗⊗⊗⊗⊗
che frana, il ⊗⊗⊗⊗⊗ rimbombò di schianto:
rimbombò, ⊗⊗⊗⊗⊗⊗⊗⊗, rotolò cupo,
e tacque, e poi rimareggò rinfranto
e poi ⊗⊗⊗⊗. Soave allora il canto
s’udì di madre, e il ⊗⊗⊗⊗ di una culla.
L’attività era nota e i ragazzi pronti. Bastò far notare che la forma di questo nuova poesia era identica a quella precedente (ripristino tuttavia lo stacco del primo verso, in funzione di ritornello della ballata, che non compare nell’edizione BUR di Myricae che sto consultando ora) per scatenarli. Con mia sorpresa qualcuno osservò che “rimbombò” e “rotolò” erano allitteranti, quindi ci sarebbe stata bene un’altra parola (quale parola? vedi che è un elenco di… verbi?) che cominciasse con la lettera “r”: fantastico! Se il poeta non ne avesse effettivamente inserita una, quella poteva essere una motivazione per guadagnarsi mille punti! Alcuni ipotizzarono subito (sempre contenti per l’allitterazione) la parola mancante al primo verso, guidati del resto dalla rima con “culla”. Scalpitavano per scoprire se poteva aver anche loro fatto meglio del poeta stesso… Diversi intuirono che all’ultimo verso si parlava del “movimento” della culla, ma frustrati dalla mancanza di un sinonimo che potesse, metricamente, essere contenuto nel verso. Ma alcuni misteri rimasero insoluti, a garantire le sorprendenti scelte dell’autore (che cosa diavolo fa rima con “cupo”, di tre sillabe, e che sia “arduo”?).
Tutta questa attività ha permesso agli studenti di sentire il testo, di farlo sbalzare dalle due dimensioni della pagina, e di apprendere in modo vivido nozioni di metrica, di retorica e di grammatica. Erano infine pronti a seguire al meglio la spiegazione di queste poesie, per gustarne appieno il senso.
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