Utopia fuggiasca di Federica Giordano
Adoro le opere prime, i versi “giovanili”. Nella loro imperfezione vibra la perfezione dello slancio, la disponibilità a più avventure. Poi la vita e la maturazione detteranno una postura, obbligheranno ad andare in fondo a una strada. «Seguìto il solco d’un sentiero m’ebbi / l’opposto in cuore, col suo invito», scrisse Montale. Per questo esordire è tragico: ogni passo di conquista è un restringimento d’orizzonte, fino all’Incontro con sé stessi.
Ripensavo a questo leggendo Utopia fuggiasca di Federica Giordano, anche se non si tratta, tecnicamente, di un libro d’esordio e l’autrice ha già un percorso di esperienze letterarie di riguardo. Ripulita di qualche incertezza (certi indugi prosastici, certe inflessioni retoriche), questa raccolta è l’anteprima di un mondo. La radice è una sorta di mitologia mediterranea, greca anzitutto, ma che si screzia volentieri accogliendo suggestioni orientali, arabe, e nordiche, senza tuttavia perdere di coerenza. Buon segno: non si tratterà di una mitologia letteraria e nostalgica, ma di una tradizione che si rigenera. Del resto l’Europa è questo, il crogiuolo delle culture, il compenetrarsi e articolarsi degli immaginari attorno al midollo della ragione.
La poesia di Federica Giordano è dunque una poesia che rifonda una dimensione europea. Ma il suo non è un programma culturale più o meno agguerrito, un movimento lirico che cresce sulla spinta di un impulso storicistico. E’ qualcosa di più puro: un’utopia, per stare ai termini dell’autrice. Si tratta di una visione che non ha bisogno dei puntelli della storia per confermarsi (anche se ovviamente non è affatto avulsa dalla realtà, spesso dolorosamente citata). L’Europa poetica che Federica Giordano lascia presagire non è la Patria che i millenni trascorsi ci consegna ferita, incattivita e in crisi di identità, ma la Terra delle Madri che soggiace a ogni devastazione, che recupera in un’altra dimensione gli scatti e le contraddizioni della nostra epoca.
C’è una danza da intuire nei movimenti convulsi del nostro tempo, ci suggerisce questa poesia; così, laddove i più scettici e cinici intravedono i segni della fine, la poesia di Federica Giordano, con funzione veramente creativa e materna, si ostina a vedere gli strappi di una nascita.
(L’opera scelta come copertina è di Riccardo Varini.
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