Divertirsi in aula

Scuola: principi del cambiamento (6)

Il fulcro della situazione di apprendimento che si crea a scuola è la relazione. Anzi, si dovrebbe parlare di una serie molteplice di relazioni: quelle tra l’alunno e l’idea che egli ha di sé, tra l’alunno e i genitori, tra l’alunno e i compagni, tra il docente e l’alunno, tra il docente e i colleghi, tra il docente e la società, tra il docente e i genitori dell’alunno, tra il docente e gli strumenti dell’apprendimento, tra l’alunno e i vari supporti utilizzati… Ognuno completi da sé la lista.

Soffermiamoci sulla relazione più evidente, quella che sintetizza tutte le altre: la relazione fra il docente e la classe. La scuola e la società, oggigiorno, non hanno più un’identità coerente e strutturante, per cui l’insegnante si trova veramente solo nel gestire questo rapporto.

Sul tema, la prima considerazione che tutti avanzano è ben nota: “Una volta, gli studenti…”, e via a ricordare la perdita di autorità dell’insegnante, che si trova a dover gestire ragazzi demotivati, deresponsabilizzati e spesso apertamente maleducati. Bene, dopo questa operazione nostalgica che non conduce a nulla, accettata peraltro a priori per veritiera, vediamo di prendere atto della situazione attuale per cercare di ricondurla a un minimo di benessere.

L’insegnamento è un’attività per sua natura coinvolgente. Gli insegnanti sono spesso logorati dalla loro passione e dal senso del dovere. Preoccupati dai risultati della classe, frustrati dal loro lavoro infruttuoso, incattiviti dai giudizi che la società esprime nei loro riguardi, i docenti vivono con molto stress la relazione con la classe. Eppure questo influisce chiaramente sull’apprendimento, e in percentuali che, sono certo, stupirebbero chiunque.

Al docente serve dunque ristabilire l’equilibrio e ritrovare quel distacco partecipe che gli permetterebbe di gestire anzitutto il proprio inconscio e le proprie ansie e di governare meglio quelle degli studenti, nella consapevolezza che in classe si impara meglio se si sta meglio.

Naturalmente, non si intende affermare che il dovere dell’insegnante sia divertire gli alunni. Non si vuole cedere alla tirannia dello spettacolo, svendendo la cultura e lo studio (ovvero la “fatica” insita in questa occupazione). Si tratta però di riconoscere che solo attraverso un piacere condiviso il sapere circola in modo virtuoso e naturale. Il docente dovrà trovare quindi la strategia migliore per assolvere al proprio compito in modo che sia, per quanto possibile, piacevole per sé e per gli alunni. E quando la fatica sarà inevitabile, basterà ricordarsi di dedicare, professionalmente, la giusta attenzione alla cura della relazione, con qualche diversivo: una chiacchierata, una divagazione voluta dagli alunni, una situazione di svago e, perché no, persino ludica.

Se il senso di un’attività che si propone agli alunni (e che il docente si autoimpone) è sempre procrastinato (studio per ottenere un lavoro, un futuro migliore; mi impegno perché un giorno godrò dei vantaggi; educo e insegno perché un domani i miei studenti saranno felici), non ci si dovrà sorprendere se a scuola regneranno il senso di fatica, la noia, il disagio. Studiare e impegnarsi (e insegnare) deve essere anche piacevole subito, deve portare a risultati immediati: deve sprigionare un senso immanente.

Quanti vantaggi quando una buona progettazione scolastica apre varchi all’insegnante perché manifesti la propria creatività pedagogica, riprenda i temi di studio che lo hanno appassionato per proporli ai suoi alunni, goda dei rapporti positivi che va creando con la classe! D’altronde, il professore dovrebbe, etimologicamente, “professare”, manifestare cioè che che egli è e ciò che diventa. Essere esempio di una persona a cui piace apprendere.

Il sesto principio per rigenerare la scuola è infatti il divertimento.

 

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