Aiuto, il libro si è mangiato il prof!
No, nel titolo non è stata trascritta la voce dell’incubo di uno studente addormentatosi sui banchi di un’aula qualsiasi. Semmai, l’urlo dovrebbe diventare l’allarme per la difesa della categoria.
Ammettiamolo: la maggior parte di noi professori, di questi tempi presi d’assalto dai rappresentanti delle più svariate sigle dell’editoria scolastica, mentre tentiamo ipocritamente di svicolare dal fatale approccio, in fondo il libro perfetto vorremmo proprio trovarlo.
E ogni volta ci caschiamo, ci lasciamo imbambolare dall’imbonitore di turno. Sì, il libro perfetto esiste e ce l’abbiamo davanti. Rutilante, pieno di schede e di approfondimenti, adatto a tutte le esigenze metodologiche (classe rovesciata, metodo cooperativo, guida alla scoperta, compiti di realtà, didattica per competenze ecc. ecc.), aggiornato sulle nuove richieste ministeriali, interattivo e flessibile, coraggiosamente responsabile di fronte all’idea di un canone ma salomonicamente aperto alle novità dell’ultima moda, riconoscibile e nuovo, tradizionale e innovativo.
E, dulcis in fundo, con tanti materiali ed esercizi da somministrare, purché già comodamente corretti nel volume riservato al docente!
Così, alla fine, nessuno dice apertamente quale sia il dramma.
E il dramma è che si vuole inserire nel libro tutte le funzioni del docente, come se quest’ultimo fosse diventato inutile.
Ora, è evidente che il libro debba risultare utile e contenere tutti i materiali di cui il docente può aver bisogno, ma è impossibile che si adegui a tutte le curvature didattiche. L’interpretazione dei materiali spetta appunto al professore, l’unico che può scegliere, contestualizzare, decidere il grado di approfondimento, trovare il file rouge complessivo di un percorso e compiere insomma tutte quelle operazioni che trasformano la lettura in un’esperienza e in un’occasione di crescita.
Da un punto di vista teorico, il professore dovrebbe essere l’autore stesso del libro, e ogni unità di apprendimento andrebbe ripensata nelle metodologie e negli obiettivi. Del resto, nell’era informatica, non sarebbe impossibile e personalmente è ciò che in parte già faccio.
Anche perché, nel seguire determinate richieste del mercato e della pedagogia, un libro rischia di favorire certe derive. I ragazzi hanno tempi di concentrazione molto ridotti? Spezziamo i testi continuamente. Necessitano di mappe concettuali? Eccole già bell’e fatte. Sono abituati alle immagini? Puntiamo sulla grafica.
E forse sarebbe giusto allenarli a testi sempre più completi, pretendere che siano loro a costruire e sperimentare le mappe, soffermarli su poche immagini degne di un’attenzione e di un’analisi prolungata.
Discreto, strategico, valorizzatore: tra l’alunno e il libro, il profilo del docente resta imprescindibile.
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