Amorevolezza

Amorevolezza

Se la didattica salesiana si imposta a partire dai termini della ragione e si apre alla dimensione religiosa dell’uomo, non può che sposare l’amorevolezza come linguaggio.

Il termine è forse un po’ in disuso e «i salesiani [lo] hanno sempre trovato difficile da tradurre in altre lingue», ma, come ricorda Pietro Stella:

non era raro tra Settecento e prima metà dell’Ottocento. Nel linguaggio di don Bosco assumeva diverse accezioni, a seconda che servisse a indicare affettività ovvero che mirasse a esprimere i contenuti attribuiti all’antropologia del cuore. In quest’ultima prospettiva, entro questa trama di linguaggio, il termine amorevolezza indicava in sostanza l’interrelazione personale, nutrita interiormente e percepita appunto da cuore, manifestata e perciò dimostrata con il proprio comportamento. Don Bosco usava dire ai suoi figli spirituali: «I giovani si accorgano di essere amati»; «studia di farti amare, se vuoi farti temere»

Il pensiero è tanto semplice quanto dirompente: il rapporto tra docente e alunno deve essere caratterizzato dall’amorevolezza.

Ciò significa che il docente deve manifestare questo sentimento e l’alunno deve sentirsi amato. Anche in classe, anche nei momenti di difficoltà, nelle fatiche, nelle occasioni di rimprovero.

In fondo, la speranza di tutti i genitori nei confronti della scuola si può tradurre in termini elementari: consegnare i propri figli a docenti competenti che proseguano, a loro modo, il rapporto di amore instaurato in famiglia.

Eppure, esistono molte forme di amore. Anche l’esigenza, la richiesta di disciplina, l’intransigenza (i famosi “no che aiutano a crescere”) sono forme di amore. Però don Bosco, con la parola scelta come terzo pilastro del suo sistema, pone tutte le facce dell’amore sotto un’unica luce, quella dell’amorevolezza, appunto. Non si creda si tratti di una tautologia. Si tratta di porre sempre l’accento, anche nei momenti in cui l’attrito tra l’adulto e il ragazzo in evoluzione si esaspera, sulla capacità del docente di manifestare il legame affettivo con l’allievo, in modo che questi continui a sentirsi amato.

Per aprire il ventaglio dei significati di questa parola può bastare il vocabolario. Amorevolezza è dimostrazione continua di interesse, affettuosità, benevolenza, dolcezza, premura, sollecitudine, tenerezza. I modi del docente dovrebbero insomma essere sempre “amabili”.

Viene in mente la mirabile descrizione manzoniana del cardinale Federigo Borromeo, proprio mentre ha il suo incontro con l’Innominato:

L’innominato, ch’era stato come portato lì per forza da una smania inesplicabile, piuttosto che condotto da un determinato disegno, ci stava anche come per forza, straziato da due passioni opposte, quel desiderio e quella speranza confusa di trovare un refrigerio al tormento interno, e dall’altra parte una stizza, una vergogna di venir lì come un pentito, come un sottomesso, come un miserabile, a confessarsi in colpa, a implorare un uomo: e non trovava parole, né quasi ne cercava. Però, alzando gli occhi in viso a quell’uomo, si sentiva sempre più penetrare da un sentimento di venerazione imperioso insieme e soave, che, aumentando la fiducia, mitigava il dispetto, e senza prender l’orgoglio di fronte, l’abbatteva, e, dirò così, gl’imponeva silenzio.

La presenza di Federigo era infatti di quelle che annunziano una superiorità, e la fanno amare. Il portamento era naturalmente composto, e quasi involontariamente maestoso, non incurvato né impigrito punto dagli anni; l’occhio grave e vivace, la fronte serena e pensierosa; con la canizie, nel pallore, tra i segni dell’astinenza, della meditazione, della fatica, una specie di floridezza verginale: tutte le forme del volto indicavano che in altre età, c’era stata quella che più propriamente si chiama bellezza; l’abitudine de’ pensieri solenni e benevoli, la pace interna d’una lunga vita, l’amore degli uomini, la gioia continua d’una speranza ineffabile, vi avevano sostituita una, direi quasi, bellezza senile, che spiccava ancor più in quella magnifica semplicità della porpora.

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