Il rumore dell’aria: la poesia di Bernard Noël
«Ti do il mio cuore per il tuo fegato», recita un testo di Bernard Noël compreso nell’antologia Il rumore dell’aria (Poesie scelte 1956-1993, Ed. del Leone, 1996). Ma non sono poesie che si crogiolano macabramente in contorti avvinghiamenti fisici quelle di Noël, seppure alcuni versi siano intrisi di un forte senso del corpo e della materia in generale.
La sua poesia, invece, sgorga più esattamente dal punto luminoso in cui il pensiero e la cosa, il corpo e lo spirito, il soggetto e l’oggetto si collassano in una sostanza originaria e indistinta.
Esse rappresentano lo sforzo, linguistico e fisico, di andare contro corrente rispetto al flusso della conoscenza che conduce alla distinzione, alla corruzione del mondo in concetti. Il sapere poetico diventa così un movimento erotico di ricongiunzione con la cosa pensata, perciò sarebbe ingenuo non riconoscere in questi versi quanta parte vi abbia anche la riflessione filosofica: in questa direzione del pensiero, concreto e astratto tendono a coniugarsi.
Certo l’originario cui tende il poeta non è alle sue spalle, non è idealistica regressione nell’incoscienza, ma atto mistico di comprensione dell’altro, del diverso, del mondo che sta di fronte: «Un altro emerge dal mio ventre senza che sia venuto dall’esterno». Con questo atto di rivolgimento, le viscere dell’uomo diventano le cose stesse e il poeta, indagando il proprio corpo, si riappropria del mondo, della sua dimensione cosmologica e creaturale nel mondo. Ecco perché «la scrittura poetica di Bernard Noël, essenzialmente autotelica e metapoetica, come gran parte dell’odierna lirica francese, è prima d’ogni altra cosa un’inesausta interrogazione dell’atto di scrivere, nella sua relazione con il desiderio, l’istante, la memoria e la morte» (F. Scotto). La sua “poetica del corpo” non è, dunque, narcisistico compiacimento; l’irruzione del fisiologico nelle sue pagine «si fa ossatura del filo onirico, riconquistando giustamente il simbolo alla sua consistenza fisica, materica» (P. Ruffilli).
La poesia diventa così la mano che, nel buio del sapere scientifico, incapace di attingere al senso delle cose, cerca di ghermire la carne, la vita pulsante: «in questo rumore d’aria / la mano tocca il vuoto / il nome cerca un volto».
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