Venerazione per l’opera – o per l’autore?
Può capitare di incontrare un autore di cui si apprezzano le opere e restare delusi, persino sconcentarti, e ritrattare la nostra venerazione per l’opera.
Può capitare di incontrare un autore e di restarne tanto affascinati da riprendere la sua opera sotto una nuova luce, e scoprirne il valore.
Può capitare di trovare insignificante l’autore di un’opera che apprezziamo, o viceversa di apprezzare l’autore di opere che ci lasciano indifferenti.
E così via.
Ma credo che un autore debba quantomeno porsi il problema di essere umanamente degno della sua opera. Non deve pensare di riscattare con la sua reale umanità un’opera insulsa, né restare ipocritamente sordo all’ideale di uomo che la voce della sua opera teorizza.
Altrimenti detto, scrivere comporta una perenne evoluzione (o, quantomeno, affinamento) della personalità.
E probabilmente è un bene, per un autore, raggiungere il successo dopo morto. Pensate a Dante Alighieri intervistato in tv: no, non sarebbe mai all’altezza delle sue opere.
Resta fedele al precetto classico: scrivi, e vivi in disparte.
Venerazione
La nostra venerazione per uno scrittore al quale per tutta la vita non avevamo osato avvicinarci era indubbiamente al suo culmine allorché un giorno, essendo scesi nello stesso albergo in cui alloggiava già da qualche tempo lo scrittore da noi venerato, e avendo trovato un intermediario in un nostro amico, potemmo incontrare sulla terrazza dell’albergo l’uomo da noi tanto ammirato e fare la sua conoscenza. Non troviamo nella nostra memoria un esempio che meglio dimostri come in realtà avvicinarsi non significhi altro che allontanarsi. Quanto più, dopo quel primo incontro, ci siamo avvicinati al nostro scrittore, tanto più e con uguale intensità ce ne siamo allontanati. Nella stessa misura in cui ci siamo addentrati nella sua personalità ci siamo allontanati dalla sua opera, ogni parola da lui pronunciata in nostra presenza, ogni pensiero da lui pensato in nostra presenza sono stati una parola e un pensiero che di pari passo ci allontanavano dalla sua opera. Alla fine la sua opera egli ce l’ha resa repellente, l’ha fatta a pezzi, l’ha dissolta e ritrattata. Dopo aver lasciato l’albergo, contenti se non altro perché potevamo di nuovo cavarcela senza quello scrittore, avevamo l’impressione che per noi lo scrittore e la sua personalità si fossero tolti di mezzo per sempre, esattamente come la sua opera. L’autore di quelle centinaia di pensieri e di idee e intuizioni, al servizio del quale ci eravamo messi per decenni con la nostra intelligenza e al quale eravamo rimasti fedeli col nostro affetto, nel momento in cui non si era rifiutato di fare la nostra conoscenza ma in fondo l’aveva cercata contro la nostra volontà, aveva distrutto la propria opera. In seguito, anche a sentire soltanto il suo nome, ci prendeva un senso di ribrezzo.
(Thomas Bernhard, L’imitatore di voci)
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