Nulla dies sine linea

Nulla dies sine linea

Tutti gli esperti sono concordi: nulla dies sine linea. Se sei uno scrittore devi esercitarti e/o produrre tutti i giorni, 365 giorni all’anno o poco meno. L’arte richiede dedizione assoluta. Anche perché l’ispirazione è un mito romantico, ora si sa che occorre lavorare per far scaturire la scintilla.

Occorre una disciplina zen per meritarsi lo stato di grazia che conduce alla creatività, serve un movimento intenzionale per ricevere il dono degli dei (inventio).

E non ne dubito, anche se non mi è ancora riuscito di adeguarmi a questa visione operaia, o monastica, della scrittura. Fino ad ora, la scrittura per me è stata una vacanza, un ruberia di ore, una colpa, un vizio, un momento di gioia improvviso e incontenibile, una sottrazione di cure alla famiglia, un soprassalto esistenziale improcrastinabile, un incidente, una scoperta, una ribellione, una visita inattesa, e via di questo passo. Nemmeno l’impegno di questo sito è riuscito a vincolarmi all’opera come auspicavo.

Poi, sia chiaro, la mente lavora anche quando la mano non tenta il foglio, per cui una continuità di fondo ci sarà anche stata. La lettura interviene a inanellare in un’unica catena i momenti creativi a sé stanti, indubbiamente. Ma la vita è inevitabile.

Questo è stato un limite oppure una fortuna? Secondo logiche produttive e presenzialistiche, indubbiamente un limite. Ma forse, per certi altri aspetti, potrebbe rivelarsi una fortuna. Ho evitato di scrivere troppo, nella prima parte della mia vita (anche se, qualcuno, potrebbe sostenere il contrario, ignaro di quanto ho lasciato in bozza in uno stato di decennale decantazione). Ora, sto cercando di compiere un ultimo sforzo per portare a sistema decenni di impegno a scuola, per gestire anche meglio il mio tempo. Forse, a breve, potrò dedicarmi con maggiore continuità alla scrittura.

Sarà l’ennesima illusione? Per ora è un obiettivo che mi pongo consapevolmente. O, quantomeno, una speranza.

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