Il gatto solitario

PUBBLICAZIONI E AUTOLESIONISMO

Finora, appena pubblicavo un libro, mi defilavo e lo abbandonavo alla sua sorte. È successo con Einaudi, è successo con altri editori minori. In parte mi illudevo che il mio lavoro fosse finito lì e lì dovesse cominciare quello dell’editore, in parte ho scelto di castigare consapevolmente il mio ego, in parte teorizzo esplicitamente l’abbandono dell’opera, e così via. Alla fine non so più se sono stato un ingenuo, un idealista, uno sprovveduto, un codardo o che altro. Pazienza, acqua passata. So che mi sarebbe bastato poco per trovarmi, adesso, in posizioni di vantaggio, a livello editoriale e di considerazione generale – ma il fatto è che io ho sempre ragionato su altri termini: troppo idealista, in questo, sì.

Ho avuto anche la sfortuna di pubblicare certi libri in frangenti negativi. In Einaudi la cura della collana Bianca, per esempio, mi ha ospitato in un momento in cui… nessuno la curava, in pratica (battuta ovvia: ecco perché mi hanno pubblicato!). Così il mio romanzo è uscito presso un editore visionario, Guaraldi, ma in un momento di ristrutturazione interna, diciamo così, e di altri problemi vari. E io: niente presentazioni, niente autopromozione.

Conclusione a sorpresa: non voglio avere un pubblico, non voglio interferenze nel momento in cui concepisco un’opera. Mi serve la solitudine. La parola che scrivo è orientata verso alcuni sguardi precisi. Non credo si possa, o quanto meno sento che non andrebbe bene per me, scrivere rivolgendosi a un pubblico.

Poi, per fortuna, quattro gatti che mi leggono li trovo anch’io. E così mi capita di imbattermi in questa recensione (me ne accorgo con ritardo, ma nel mio discorso i tempi non contano, il romanzo è già datato e obliato, stando alle leggi economiche).

E mi sorprendo, perché lettori veri ce ne sono, eccome. E questo incontro mi interessa. La mia parola ha il suo destinatario, o pochi e ristretti, ma poi il destino regala all’opera altri lettori. E non è casualità, per me. Se trova i suoi lettori è perché è stata scritta davvero per qualcuno, non un pubblico fantomatico.

Nel merito (ahi, parola pericolosa di questi tempi), non mi compiaccio affatto delle stellette (avrebbe dovuto metterne non più di quattro, stando all’argomentazione) o del giudizio complessivamente positivo. Mi interessano anzi le riserve, le annotazioni critiche e costruttive. È lì che sento l’ascolto.

L’applauso incanta. Il silenzio e la parola misurata risvegliano.

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