Disgusto per la letteratura

Alla larga dalla poesia!

Alla larga dalla scrittura! E, soprattutto, alla larga dalla poesia! Se c’è una carriera da sconsigliare, per un giovane o per chiunque si avvicini per la prima volta al mondo della letteratura, è proprio questa. E già la parola carriera è un’etichetta fasulla, insopportabile, sulla porta di ingresso.

Intendiamoci. Che ci sia molta gente che si diletta a scrivere potrà essere un bene, finché ci si limita, appunto, al diletto. Si può scrivere un sonetto per festeggiare un compleanno o un’ode per celebrare un’impresa, si riempirà di parole una pagina di diario per rimettere un po’ di ordine alla propria vita, si cercheranno figure retoriche e soluzioni stilistiche per curare il proprio mondo interiore. Evviva, allora scrivete. Sperimentate, in qualunque modo, la creatività. Dovrebbe bastare, a dire il vero, la fruizione dei capolavori che la tradizione ci trasmette: i grandi classici e i migliori autori contemporanei sono lì per quello, ci donano opere che parlano di noi. Basterà trovare quelle giuste. Ma, indubbiamente, la molla d’acciaio della fantasia è la medicina più potente, per l’anima. Olof Lagercrantz cita un pensiero rinvenuto nel diario del nonno, datato 4 febbraio 1916:

E’ vero: in presenza di un dolore profondo, lavoro, lettura e musica sono senz’altro buoni rimedi. Ma c’è anche qualcosa che è ancor meglio. Cerca di mettere in moto la fantasia creativa, e ti accorgerai di come l’anima balzi in alto come una molla d’acciaio.

Ma poi, dopo aver scritto, la maggior parte viene risucchiata dal pensiero dell’arte, della pubblicazione, della gloria immortale, e si entra in una spirale di perdizione. Si cercano confronti con esperti, si vuole imparare, e si finisce in una scuola di scrittura creativa. Si vuole pubblicare, perché il proprio capolavoro è incompreso ma la storia gli renderà ragione, e si cade nella trappola della vanity press. Se si mandano i propri scritti a qualche studioso o scrittore disponibile, che non si accontenti di generiche pacche sulle spalle nella consapevolezza che il tempo è prezioso e che rendersi antipatico non conviene, quando si ottengono indicazioni precise intorno ai limiti del proprio lavoro, ci si offende, si soffre, si replica infinitamente ribadendo le proprie ragioni, stupiti di non essere compresi. Perché nell’oggetto letterario si è trasferita la propria anima, il proprio dolore, la propria speranza di salvezza.

In tutti gli ambiti umani bellezza e meschinità, delicatezza e sciatteria, intelligenza e modestia, presunzione e ignoranza si mescolano a volte in modo davvero inestricabile. Ma nella letteratura, e nella poesia anzitutto, sembra che si chiudano in nodi definitivi. Proprio per il suo aspetto catartico, attira spesso le persone più nevrotiche e complesse. Si pensa che il mondo della poesia sia popolato da anime belle, e non si sa quanto ci si inganna. Spesso, chi gode di un minimo di fama e di prestigio si è piegato alle logiche più ciniche e si è armato di una corazza di insensibilità, pur di sopportare gli altri. Servilismo, ipocrisia, omertà, furbizia, presenzialismo: le strategie per cercare di emergere a ogni costo sono le solite, tristemente note, e umane, troppo umane.

L’equivoco è presto enunciato: si chiede alla scrittura un risarcimento che non può dare, un riscatto esistenziale, l’attribuzione, addirittura, di un senso alla propria vita. E tutto questo è patologico. Al contrario, l’arte richiede dedizione totale, sacrificio di sé, gratuità.

Antonella Cilento riassume questo pensiero in un aneddoto:

Il falegname sotto casa mia sta lavorando a un Luigi XVI, moderno, fatto dal nulla, con legni antichi e costosi, da dieci anni: non lo venderà mai, è il dono per una figlia che ha ora diciannove anni e, pare, nessuna intenzione di sposarsi, nemmeno per ricevere questo preziosissimo corredo che il papà sta preparando per lei. Ma il falegname sotto casa mia non sta lavorando davvero per la figlia, è una scusa: lo sta facendo per se stesso e per l’oggetto in sé, per finire al meglio il lavoro con l’arte che sa fare, con l’arte che ha appreso, spira dopo spira, nel corso della sua vita.

Ma la parola non è legno, così si pensa che per aprire un personale atelier d’artista sia sufficiente un foglio bianco o, peggio ancora, il monitor di un pc. Basta l’emozione e il desiderio, la tecnica non conta. Del resto, se è poesia, qualsiasi costruzione di parole starà in piedi da sola, no?

BIBLIOGRAFIA

Antonella Cilento, La caffettiera di carta. Inventare, trasfigurare, narrare: un manuale di lettura e scrittura creativa, Milano, Bompiani, 2021, p. 416

Olof Lagercrantz, L’arte di leggere e scrivere, Genova, Marietti, 1987, p. 73

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