Contro le scuole di scrittura creativa

“avrai altre strofe languide dai pusher dello svago”
(Giovanni Succi)

La premessa scontata di qualsiasi corso di scrittura creativa, che non sia una baggianata, una truffa o un esplicito ingranaggio nella filiera della vanity press, è che nessun docente s’illude di infondere il talento. 

Nessuno può intendere e ripetere la scintilla che trasformò un medico, malato e infelice, in Anton Pavlovič Čechov

per dirla con le parole di Giampaolo Rugarli.

Si può invece trasmettere il mestiere, al più favorire qualche pratica utile a chi di talento è già provvisto affinché esso si raffini. Analogamente, nessun docente di italiano appena consapevole presume di insegnare tecniche che garantiscano un bel dieci. Nella peggiore delle ipotesi, il docente si compiacerà di veder replicate le proprie idee; nella migliore, saprà valorizzare un testo che, oltre a essere “fatto ad arte”, risulterà veramente personale: ma questo margine, peraltro sfuggente e insidioso, sarà stato raggiunto, per definizione, dallo studente con le sue specifiche risorse.

Posti questi limiti precisi, ci si accontenta di ammettere che, quanto meno, le scuole di scrittura creativa non fanno male a nessuno. Espose questa tesi, idealmente a nome di tutti, uno degli scrittori più apprezzati e imitati del nostro tempo, Raymond Carver:

La maggior parte dei buoni e anche sommi direttori d’orchestra, compositori, microbiologi, ballerini, matematici, pittori, astronomi e piloti da caccia ha imparato il proprio mestiere da qualcuno che era più vecchio e lo praticava alla perfezione. Seguire un corso di scrittura creativa, come seguire corsi di medicina o di ceramica, non basta certo a far diventare una persona un grande scrittore, un grande medico o un grande ceramista – anzi, a volte non basta neanche a farne un buon mestierante nei diversi campi. Ma Gardner [suo maestro in un corso di scrittura creativa] era convinto che seguire un corso non poteva neanche compromettere le possibilità di riuscita. 

Fatto sta che tali corsi a qualcuno giovano senz’ombra di dubbio.

Giovano anzitutto ai docenti, che ci guadagnano in termini di prestigio e ovviamente in termini economici, anche per via indiretta, poiché finiranno per vendere qualche copia in più dei propri libri e manuali. Giovano a quegli apprendisti scrittori che intendono la scrittura come pura officina, come applicazione di precetti funzionali a un’idea immediata e materiale del successo, come produzione di opere conformi alle richieste del mercato e del mainstream. Giovano a chi intende trovare lavoro direttamente in ambito editoriale (correttori di bozze, lettori di professione, editor, consulenti di agenzie letterarie ecc.) o in ambiti affini (autori di format per lo spettacolo, sceneggiatori per serie tv e quant’altro). D’altra parte, per dirlo ancora con le parole di Rugarli, 

Non è obbligatorio che tutti i discenti diventino altrettanti Mozart o altrettanti Van Gogh, può darsi che diventino orchestrali in un complesso a plettro o cartellonisti pubblicitari: se non altro hanno appreso un mestiere. […] La suggestione dell’argomento aumenta ove si rifletta che l’uso della scrittura non compete solo ai narratori. In questo stadio della nostra civiltà si ricorre alla scrittura per mille occorrenze: lettere, rapporti, relazioni, sentenze, memorie accusatorie o difensive, testi critici o di studio, messaggi pubblicitari, sceneggiature ecc. Ebbene (si domanda) perché non insegnare un appropriato uso della lingua a tutti i possibili utilizzatori? E, a quanto sembra, la tesi riesce persuasiva, prova ne sia che una piccola folla sciama verso i corsi di creative writing e confida di migliorare quella che con brutta parola si definisce “professionalità”. 

Giovano, le scuole di scrittura creativa, anche a chi si affida alla cerchia di adepti e al maestro che la guida per risolvere qualche personale blocco interiore o, più utilitaristicamente, per garantirsi qualche “aggancio”, ossia per trovare qualche appoggio funzionale alla propria “carriera”, piccola o grande che sia. Giovano infine, i corsi di scrittura creativa, al sistema editoriale stesso, sempre affamato di lettori e di pretendenti scrittori.

Se volessimo guardarli con la massima accondiscenza, finiremmo dunque per avvalorare il quadretto idilliaco con cui Carver li descrive:

Qui abbiamo tutte le caratteristiche necessarie per essere una comunità letteraria. Ogni corso di laurea in scrittura creativa del nostro Paese che si meriti questo nome ha un analogo senso di se stesso, il senso di essere una comunità letteraria funzionante.

Peccato che, in realtà, la società letteraria è subdola e feroce, spietata e ambigua, quanto meno nella stessa misura in cui è rigogliosa e onesta, premurosa ed esigente. Gli scrittori, è risaputo, spesso amano i lor parenti lontani quanto odiano e invidiano i cugini più prossimi, giacché pretendono la scena letteraria tutta per sé, specialmente se lo spazio, già così ridotto, va di decennio in decennio sempre più assottigliandosi (massimamente nel caso della poesia). Salotti esclusivi e aristocratici, caffè accademici aperti agli spazi cittadini, riviste militanti e underground, ma anche giornali con fiammanti elzeviri di venerati maestri: questi ed altri gli spazi in cui le ondate della storia e i riverberi delle coscienze più attente davano vita all’intrecciarsi di correnti, tendenze, avanguardie, retroguardie, conventicole, consorterie di ogni specie che, nel gran calderone della letteratura, finivano per lasciar emergere, se non proprio lanciare, opere ancora aureolate con una parvenza di classicità e degne, ben presto, di foraggiare gli studi accademici e distillarsi, con sgocciolio regolare, nei manuali scolastici. Oggi tutto questo è naufragato nella brodaglia internettiana e nella galassia in continua espansione dei social, dove è collassato del tutto il principio di autorevolezza – no, forse non del tutto, se la bolla esplosa si sta lentamente depositando e cominciano a emergere nodi più forti, nuove forme di credibilità – stando agli ottimisti.

Eppure, a fronte di tali fenomeni, siamo ancora convinti che le scuole di scrittura creativa non siano in fin dei conti nocive, per la letteratura?

Ricapitoliamo: o si tratta di corsi professionali (ehi, in America in effetti sono veri e propri corsi universitari) o di surrogati della società letteraria o di club più o meno esclusivi oppure di gruppi di autoterapia. O un mix di tutto questo. E si riformuli pure l’elenco usando il tono e i termini più nobilitanti: ci troverà d’accordo ugualmente. Da parte mia posso dimostrare quanto abbia sempre creduto e favorito l’apprendimento a bottega, il confronto serrato sul testo, e lo studio delle riflessioni critiche più utili che accompagnano e favoriscono i capolavori nella storia.

Ma è palese il quadro odierno: l’Italia è infestata da una moltitudine di scrittori bravi e carini, o sopportabilmente cattivelli e performativi. Insomma, entrate in qualsiasi libreria e vi troverete sommersi da migliaia di buoni libri, freschi freschi di stampa. Stiamo affogando, nella carineria diffusa. E la società letteraria, subdola e feroce, spietata e ambigua, ha ceduto il posto a una schiera di melliflui. Chi osa più criticare, specie qualcuno che pubblichi presso lo stesso editore o appartenga alla stessa agenzia letteraria? Scattiamo la fotografia dei nostri tempi: eccoci tutti con la mascherina e i guanti, tutti in tinta ed educati: altro che mettersi a cercare, in crisi d’astinenza, il bacio velenoso di madama poesia. Oggi vince un’idea edulcorata, igienica e anestetizzata della letteratura, e verso questa idea ci traghettano i corsi di scrittura creativa. Ma la letteratura è anche, se non soprattutto, ossessione, pericolo, malattia, sconfinamento: una pratica da non favorire.

Ma riuscite davvero a metterli sullo stesso scaffale, i manuali di scrittura (prendete pure i migliori) e i volumi di Proust o di Joyce?

No, non esistono cordate sicure per avvicinarsi a un campo base alle falde dei classici; non esistono percorsi turistici organizzati per attraversare i vicoli della letteratura. Non per chi è condannato a rincorrere l’ombra, pericolosa, del talento.

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BIBLIOGRAFIA

Raymond Carver, Il mestiere di scrivere. Esercizi, lezioni, saggi di scrittura creativa, Torino, Einaudi, 2015, p. 34 e p. 70

Giampaolo Rugarli, Il manuale del romanziere, Venezia, Marsilio, 1998, pp. 15-16

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