Difendere i margini per chi fa arte (di Franco Acquaviva)

Alcune note sul primo romanzo del poeta Andrea Temporelli (con cenni a un dibattito tra Tiziano Scarpa e Davide Brullo)

Andrea Temporelli non è uno scrittore di cui parlano le riviste, le radio, le televisioni. Non è un volto noto, le sue opere non finiscono sugli scaffali dei supermercati, o nelle edicole o nelle librerie-bar-enogastronomie; nei titoli dei suoi libri la parola “vita” non la si trova; la sua raccolta di poesia più importante, pubblicata da Einaudi, s’intitola Il cielodi Marte; ed è difficile immaginare un sigillo più eloquente alla palese, voluta estraneità di questo Autore poco più che quarantenne alle dinamiche del sistema  e del mercato editoriale italiano. Come se collocarsi al margine dell’establishment letterario italiano dovesse significare per forza dover subire lo stigma di una condizione di marginalità, residualità, emarginazione, isolamento, e non contribuire invece a delineare un luogo dove progettare, un luogo di trasformazione e di conoscenza, dove si può difendere una propria alterità creativa proprio perché si è meno soggetti alla spinta omologante che il Centro esercita a ogni livello. Difendere i margini per chi fa arte, poesia, allora può equivalere alla resistenza che i contadini del sud del mondo esercitano nei confronti delle multinazionali che vorrebbero imporre le loro sementi e dunque una monocultura tendente a uniformare la grande ricchezza di colture possibili.

L’editoria italiana di questi anni sembra proprio comportarsi come quelle multinazionali: trova una linea di prodotti su cui investire il massimo delle risorse, e con questi riempie tutte le terre colonizzabili. Ecco allora che giriamo per le librerie, nelle grandi città e nei piccoli centri di provincia, e sulla soglia troviamo a riceverci sempre gli stessi autori e gli stessi editori con i loro prodotti impilati in scaffalature torreggianti che sbarrano il passo e urlano le loro sovracoperte ipercolorate… Se si riesce  a trovare, com’è successo al sottoscritto l’altro giorno in una cittaduzza del lago Maggiore, una vecchia cartolibreria che dall’anno della sua apertura (anni ’70-‘80 del secolo scorso? o prima ancora?)  pare rimasta intoccata negli arredi, nell’illuminazione, nell’aspetto stesso del libraio (con spesse lenti, un po’ canuto, per quanto non vecchio, magro asciutto, dal quale si diffonde un odore lieve misto di polvere e sudore), che ti sciorina subito, all’ingresso, dei fondi di magazzino anni ‘80-‘90 sui quali campeggiano etichette incoraggianti come “€ 2”, e incellophanature antiche quanto l’anno di edizione del libro, sembra di entrare nell’armadio di Narnia, o nel mondo di Alice… Ciò che il mercato non può fare, almeno per ora, è eliminare certe sacche di poesia e alterità come questa libreria o come, fuori invece da ogni probabilmente consolatoria rêverie provinciale da “buone cose di pessimo gusto” e anzi nel cuore stesso della problematica contemporanea, certi autori come il Temporelli suddetto, o certe piccole e agguerritissime case editrici come Ladolfi, o la stessa Guaraldi.

(Leggi l’articolo originale su “Gagarin-Magazine”)

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