Cari poeti, convertitevi alla prosa!
I poeti sono misconosciuti, sfigati, si persuadono della loro superiorità, si chiudono in combriccole, si consolano fra di loro, salvo poi scannarsi alla prima briciola caduta dal banchetto del mondo
- Ho sempre avvertito la scrittura poetica e quella in prosa come due modalità espressive che hanno radici diverse. Essere scrittore non coincide necessariamente, per me, con l’essere poeta, anche se comprendo tutte le reciproche gradazioni, e contaminazioni, e influenze, fra i due generi. Nel passaggio dalla poesia alla prosa, o viceversa, c’è spazio per infinite sfumature e sovrapposizioni. Ma resto dell’idea che il pensiero poetico abbia un quid qualitativo specifico. Con ciò non intendo asserire che la poesia sia superiore, né che lo sia la prosa. Una buona prosa è indubbiamente superiore a una poesia mediocre.
E un’ottima prosa, invece, è superiore o inferiore a un’ottima poesia? Il paragone non si pone, perché la loro qualità si gioca, appunto, su terreni diversi. - La prosa ha bisogno della poesia.
La poesia ha bisogno della prosa? - Non credo sia possibile definire strumenti univoci per stabilire il punto esatto di passaggio dall’una all’altra: la sensibilità, la cultura, persino il contesto contingente restano determinanti. Saprei insegnare svariati accorgimenti linguistici, sintattici, prosodici, per avvicinare le due sostanze, ma non riesco mai a identificare la sillaba che, spostandosi, trasforma la prosa in poesia o viceversa.
Attendiamo l’evolversi della fisica quantistica con interesse. - Suppongo ci sia qualcosa di più primigenio e iniziatico nella scrittura in versi. Ho l’idea che tanti scrittori siano nati come poeti (ieri per esempio leggevo questo), mentre non mi vengono in mente esempi convincenti di narratori che siano diventati ottimi poeti – anche se i termini “convincenti” e “ottimi” lasciano le porte aperte a uno stuolo di pretendenti.
- I poeti sono misconosciuti, sfigati, si persuadono della loro superiorità, si chiudono in combriccole, si consolano fra di loro, salvo poi scannarsi alla prima briciola caduta dal banchetto del mondo. La loro opera resta protetta da ragioni ineffabili che garantiscono il privilegio della squalifica di qualsiasi giudizio negativo. In poesia non si commettono errori, si distribuiscono licenze.
- I narratori possono ambire a una certa notorietà. La loro opera non è una roccaforte, si apre al contesto, offre spazio alla critica perché deve risultare leggibile e comporre un quadro con mille dettagli, che permettono a chiunque di sentirsi competenti su qualche aspetto al pari almeno dell’autore.
- Io sono un poeta. Ho un’idea vertiginosa della letteratura. Mi esercito alla totale tolleranza di qualsiasi avventura linguistica, ma scelgo coscientemente di vivere la scrittura nell’unico modo che mi interessa. Con questo, non mi sento superiore a nessuno, anzi. La mia intransigenza è la mia dannazione. Cerco, con gli anni, di volgerla soprattutto verso me stesso, perché ho capito che sono veramente rari gli scrittori che condividono questa grammatica di base, che saprebbero amare quelli capaci di leggerli fino a spaccare il loro congegno, fino a liberarli dalle loro illusioni.
Il dialogo tra due poeti è il dialogo tra due supreme cariche religiose. - Nessuna religione è depositaria univoca della verità.
Eppure, come si può dialogare davvero, in questi casi, senza perdere la fede? - Da tempo vado rimuginando le parole che ha usato Tiziano Scarpa per descrivere il mio sconfinamento verso la prosa: «ho rispetto e curiosità per i poeti che si mettono a scrivere narrativa. Lo so che sono diffidenti verso i romanzi e i racconti, perciò, quando decidono di scriverne, credo che stiano facendo qualcosa di speciale, una vera trasgressione interiore.»
Aggiunge anche un bell’elenco di poeti che si sono concessi questa trasgressione: Aldo Palazzeschi, Pier Paolo Pasolini, Guido Ceronetti, Nanni Balestrini, Edoardo Sanguineti, Sandro Penna, Antonio Porta, Milo De Angelis, Giuseppe Conte, Roberto Carifi, Maurizio Cucchi, Aldo Nove, Lello Voce, Gian Mario Villalta, Valerio Magrelli, Franco Buffoni, Flavio Santi, Gilda Policastro, Davide Brullo. L’elenco è appena un abbozzo, ciascuno lo integri a piacere. Quindi prosegue: «È una scelta forte, per un poeta, scrivere un romanzo. È come passare dal lago al mare aperto: dall’ambiente lacustre – insidioso, sì, ma tutto sommato protetto – degli addetti ai lavori e degli altri poeti, alla distesa marina del pubblico, del mercato, del voto in stellette nelle librerie in rete, delle letture naïf e sofisticate, da soddisfare a livelli diversi di severità e di attese. È passare da un’idea verticale a una pratica orizzontale della parola. È passare da una scrittura fatta di affondi essenziali e sintetici a un’altra che accetta di diluirsi nei connettivi e nei portavoce figurali, compresi i personaggi con cui l’autore non è d’accordo. È passare dalla santità virginale dell’eremo alla prostituzione sacra nel vestibolo del tempio…». - Perché, dunque, sono passato dalla poesia alla prosa? Non credo di saperlo bene neppure io – non ancora. Potrei affermare che la risposta stia tutta nel romanzo stesso, e infatti l’elemento ostico che lo contraddistingue è questa elaborazione, interiore ma anche storica, con tanto di nomi emblematici e allusioni, di un assoluto che cerca una nuova forma di incarnazione. A certi lettori (con una sensibilità che non esito a definire un po’ superiore alla media) risulta fastidioso questo contenuto, questa pretesa. Qualcuno è propenso a credere che la narrazione si sia ridotta a palcoscenico per un rito autoconsolatorio; a certi altri (forse gli editori stessi che hanno rifiutato il testo) pare stonata questa infiltrazione di poesia e di lirismo. Il sugo della questione è lo stesso: “Se vuoi scrivere una storia, non devi condurre un esperimento morale, non devi appesantirla con simili pretese”. Già, in un romanzo approssimarsi all’indicibile è un peccato mortale, che merita lo spernacchio. La prosa deve rimanere ingenua, genuina, raccontare storie-storie, mica avvitarsi in tali velleità intellettuali e autoriali.
Concordo perfettamente con queste descrizioni. Questa è la doverosa lettura che il mio tempo compirà. Chi avverte certe aspirazioni, intenderà la mia scrittura come un titanico, eroico tentativo di assalto e di sabotaggio della letteratura, roba da Romanticismo posticcio. Avvertirà una urticante differenza di carattere.
Per loro, non mi sono veramente convertito. Sono un infiltrato.
Perché, dunque, ho scritto un romanzo?
Forse ho soltanto perso fede nella poesia. Forse sono diventato un eretico. - «Attraversare il Postmoderno, ovvero consumarlo: assumerne i caratteri per orientarli ad altro fine, per imprimere loro una nuova direzione.» (Tutte le voci di questo aldilà, p. 217)
- Per chi scrive, un poeta?
E un narratore?
Risponde la gente: un poeta scrive per sé stesso, in definitiva. Un narratore, invece, ha un suo pubblico. Poi, naturalmente, se il poeta è grande, scrivendo per sé stesso troverà, in fondo all’io, il noi. - Una fede non ti serve a niente, se non conduce all’amore, all’incontro con gli altri.
- Scriverò ancora poesie? Scriverò altri romanzi?
Non lo so. Ho quaderni pieni di appunti per entrambe le vie.
Non ho mai avuto scelta: questo è il punto. - Cari poeti, monaci stiliti che vi titillate con l’aldilà e osate indignarvi l’un dell’altro, venite a lavorare qui, c’è da arare un terreno divenuto sempre più arido. Tra l’altro, la maggior parte di voi è nata per far questo, e non se n’è mai accorta. È da qui sotto che si deve passare, per verificare l’arte della parola verticale.
- Sì, credo di aver scritto Tutte le voci di questo aldilà per verificare l’esistenza di Dio.
(L’opera scelta come copertina – cliccate sull’immagine per vederla intera – è di Salvo Misseri)
Più o meno sullo stesso argomento, una dozzina o più d’anni fa ho detto delle cose che ancora sottoscrivo in una chiacchierata con Italo Testa: la si legge qui.
Proprio per quel libro l’avevo inserita nell’elenco (in FB) delle persone che potevano sentirsi chiamate in causa dal discorso. Grazie del riferimento.
Sulla prosa con dentro della poesia.
“Ci salutammo, e fu breve; ciascuno salutò nell’altro la vita.”
da Se questo è un uomo.
Primo Levi.
Vorrei riportare qui, come un grazie ad Andrea e al suo entusiasmo, la mia recensione, che gli ho già fatto avere in privato, del suo libro TUTTE LE VOCI DI QUESTO ALDILÀ, eccola:
Andrea!
Solo un poeta poteva scrivere un libro come il tuo!
Ma andiamo con ordine.
Mi è piaciuto e mi sono divertita, cose da non sottovalutare da parte del lettore, vero?
L’inizio è stato un po’ lento e l’ho trovato un pochino faticoso, ma andando avanti ho avuto l’impressione che la scrittura si sciogliesse e che tu, o l’autore dietro di te, fosse più a suo agio con la storia e coi personaggi.
Ho trovato che i titoli dei capitoli fossero perfettamente integrati nel testo ed esplicativi del contenuto, quasi facessero parte della trama e del racconto in un modo che non si potesse fare a meno di leggerli o tenerli in considerazione senza perdere qualcosa.
Prologo ed epilogo forse non del tutto all’altezza della storia. Ma questo è un mio piccolo parere, del tutto personale e teso a quella che avrei visto come la “perfezione”! ovvio che vanno benissimo anche così, solo, ecco, io li avrei voluti il primo più ricco di nomi di poeti e con meno appelli al lettore, e il secondo più lungo… ma ripeto il giudizio è del tutto mio personale.
Ho trovato molte incursioni nella realtà quotidiana, in termini di nomi di persona e di riferimenti vari, mi scuso se non posso essere più precisa, (colpa del kindle che non mi permette di sfogliare a piacimento la carta su e giù!) e se questo può essere utile ai contemporanei, trovo che possa essere pesante per il futuro. Ma va bene.
I nomi dei personaggi erano ben armonizzati alla storia e alla loro propria storia. Gesù è stato bello a sentirsi (poiché come il padre cercava il bello in ogni cosa…) ma poi un po’ mi è spiaciuto perché il personaggio non era all’altezza del nome che aveva, ad anche perché non era così fondamentale nella storia come il suo nome importante avrebbe forse potuto pretendere!
Procedendo con la lettura non ho potuto fare a meno di seguire diverse prospettive.
Senza volerlo ho tentato:
1 una lettura di accadimenti e situazioni che supponevo autobiografici tuoi, dell’autore, (riguardo scuola, giovani, amicizia, amore, aneddoti, poesia)
2 una lettura sociale e di costume (bel quadro, impietoso ma realistico, da consegnare al futuro!)
3 una lettura critica sulla poesia sui poeti sulla critica e la letteratura del nostro tempo
4 una lettura come analisi del testo, punti di vista, narratore, sequenze narrative, (belli gli intrecci e fluidi i passaggi di scena e parola; ottimi i dialoghi e le descrizioni)
5 ed infine ho lasciato che il testo risuonasse libero dentro di me a vari livelli:
Io donna, io poeta, io con la mia esperienza del/nel mondo della e nella letteratura.
Le varie letture si sono sovrapposte, ovviamente, e molte volte mi sono chiesta chi stesse dicendo quel determinato “qualcosa” che si diceva, chi stesse pronunciando quel particolare giudizio o sentenza, se tu o l’autore del tuo libro o le voci del coro dei poeti, ho tentato di individuare la tua voce, e a volte mi è sembrato di poterla distinguere chiaramente, altre volte invece hai messo in bocca qualcosa di tuo (e di più vero) ad ognuno, (questo io credo, che ognuno dei personaggi avesse qualcosa di vero da comunicarci a suo modo)
A volte ho trovato il narratore onnisciente che dal di fuori della storia veniva a lasciare qualche traccia di sé con un “io” o una allocuzione inaspettata, imprevista, al lettore.
A volte avrei preferito non udire nomi troppo noti a noi lettori di oggi! Ma sia.
Ho trovato alcune parti molto ironiche divertenti (be’ mi hai fatta ridere non poco!) e nello stesso tempo profonde nella loro leggerezza. La tua scrittura consapevole e matura. Che si divertiva da sola! E io con lei.
In alcuni personaggi ne hai nascosti altri comunque! Vero? Sembrava un gioco da indovinare!
Non so a chi o cosa ti riferissi parlando delle nuove teorie del padre di Vladimir che noi continuavamo ad usare come eterne e immutabili mentre lui ne era già fuori! (ma il ragazzo inizialmente non era innamorato di Elisa?) comunque io non ho fatto altro che pensare ad un libro letto alcuni anni fa, di Tzvedan Todorov, La letteratura in pericolo, e la sua ritrattazione dello strutturalismo e di certe analisi che uccidono la letteratura.
Poi: Lucarelli Jakobson Milo de Angelis e la “larga eco del romanzo gotico” e altre cose simili, io le avrei lasciate un pochino più nascoste… ma esse erano più in evidenza e sia, va bene pure questo! E magari lo hai fatto più che apposta ad evidenziarle!
Gli omosessuali però ormai si infilano ovunque, vero?
Avrei lasciato fuori anche loro. Ma sono costume e realtà (pesante) dei nostri giorni pure loro.
Un unico appunto, il giovane … muore senza voler che si leggano le sue cose e va bene, ma muore senza averci spiegato ancora meglio i suoi perché sulla indicibilità della poesia, e la sua voglia (che comunque dimostra) di uscire da se stesso col lasciare qualcosa di sé presso gli altri, credo che forse consista nel fatto che nessuno può vivere da solo, in e per stesso, e infatti, con gli amici, senza che noi lo sapessimo, scopriamo alla fine che parlava di tanto e di più, anche di cose di cui, secondo il suo stesso personaggio, avrebbe dovuto tacere!
Muore il più grande poeta di cui nessuno appunto ha potuto leggere qualcosa tranne il narratore onnisciente attraverso i pensieri che spiava, per darcene un po’.
Il narratore della nostra storia, che ci regala un suo monologo interiore a morte già annunciata! (e qui mi sono venuti in mente i versi fantastici e insuperabili del grande Vladimir Majakovskij cito a memoria “guardate sulla carta sono crocifisso coi chiodi delle parole…” e lo avrei visto bene anche nel prologo il mio caro VM…)
E Max.
E la sua ragazza che non va al funerale e chissà cosa ne farà poi del quaderno suo, che a me ricorda il tuo modo di scrivere, (l’impressione di questo quaderno mi è rimasta addosso da qualche breve scambio che abbiamo avuto tu e io avuto in passato sotto qualche post sulla poesia…) carta a quadretti e ordine come credo tu abbia nelle cose tue.
Un altro piccolo appunto: ho letto in kindle, come ti dicevo, e mi sono detta “stupida” molte volte per questo! forse avrei dovuto aspettare mesi per la carta!?
Scomodissimo scorrere il testo e comparare brani su kindle! Ma credo anche di aver trovato alcuni refusi e vorrei segnalarteli per le nuove edizioni.
Ti mando quindi e comunque alcuni screen shot di parti che ho evidenziato per vari motivi.
Ma infine, quello che dici sulla poesia di oggi (e non solo) mi ha colpita particolarmente.
A parte il gran casino intorno alle varie fazioni e gruppuscoli di poeti e codazzi di gente che segue chissà chi e che cosa…
Mi ha dato da riflettere la posizione di Davide, che non voleva vedere le sue opere pubblicate, è che stata per molto tempo anche mia. E in molta parte lo è ancora!
E la capisco benissimo.
Non sono una ragazzina, e “scrivo” di tutto, ma soprattutto poesia, da quando ho imparato a scrivere.
La vita, per vari motivi, mi ha portata lontano dall’ambiente entro cui di solito si trovano poeti e scrittori.
Solo da pochi mesi mi sono decisa a pubblicare qualche mia poesia in un mio piccolo blog che tengo quasi pudicamente nascosto come il quaderno di Davide e con tutte le sue incongruenze fatte di voglia di nascondersi e voglia di mostrarsi.
Ho mari di carta e di file sepolti in ogni dove! E mi chiedo: che senso ha o avrebbe pubblicarli vederli pubblicati? Sono pigra? Ho paura di un rifiuto? Ho paura di mostrare troppo di me agli altri anche a quelli più prossimi che non sanno niente di me?
Ma soprattutto: c’è così tanta gente che scrive! Troppa. Basta, per carità. Io scrivo per me e poi leggo. Per me.
Certo mi piacerebbe lasciare le mie “carte” in ordine… ma tanto poi esse moriranno con me, e però, io cretina, continuo a produrne!
Complimenti Andrea i tuoi allievi e chi ti sta vicino è ben fortunato ad averti vicino. Maestro, amico, o altro che sia.
A modo mio sono fortunata pure io ad averti incontrato sulla mia fb-strada!
Buon lavoro dunque e grazie.
Vera Macrì