Il bene di vivere
La solitudine è la tentazione più grama, scriveva Riccardo Ielmini…
La solitudine è la tentazione
più grama, ma come eravamo belli
a metà degli anni Ottanta, a lezione
di latino, con la nostra purezza
ancora tutta da contaminare,
e come siamo belli adesso, tutti
sporchi e un po’ disperati, siamo belli
proprio, aggrappati ancora a qualche fiaba,
alla faccia di Dio nella faccia
che rimanda lo specchio alla mattina,
alla gioia molesta di tornare
belli come eravamo negli Ottanta,
prima di questa tentazione
della solitudine […]
Riccardo Ielmini
La poesia di Riccardo Ielmini ha già avuto modo di imporsi all’attenzione generale. Ora, con i testi inclusi nel quaderno collettivo Quattro poeti (edizioni Ares), abbiamo l’opportunità di leggere un poeta che ha raggiunto la piena consapevolezza di ciò che sta facendo: lo dimostra il passo sicuro e riconoscibile, che dispiega in un testo sempre abbastanza lungo, in pochi, accavallati periodi, una serie di pensieri, embricati in modo apparentemente trascurato, al limite contraddittorio, che lentamente ti avvince, non senza però averti pizzicato con qualche tratto irritante. A questo servono infatti certi aggettivi in esubero, certe marche esibite che delineano un mondo, una visione precisa della realtà, connotata finanche generazionalmente: si pensi «ai cinema all’aperto, alle serate / di liscio e mazurca sul lungolago», all’«armadio di maglioni / di lana e cassetti di nebbia e dischi / di simon & garfunkel», a tutto un regesto, insomma, che racconta i «desideri sempre più precisi, / e più colpevoli» di chi è «Venuto al mondo nel ‘73» in una brumosa provincia del nord.
Perché questa “posa”?
L’autore non cerca la dizione smaltata, vuole sporcarsi con la fetta di realtà che gli è propria per dimostrare, infine, che lo scatto poetico decisivo si compie, impercettibilmente, dentro questa cornice, dentro questa esatta aderenza. Per superare il lutto novecentesco e celebrare il “bene di vivere”, vale a dire per assumersi quella responsabilità lasciata vacante da chi ha cantato per un secolo soltanto il “male” dell’esistenza, non serve un trucco stilistico. I conti col Novecento si fanno dentro di sé. Dunque, il lettore non tarderà a scoprire, nel tono dimesso e in tutta la tradizione rimasticata in questi versi, lo scatto di un uomo che supera la soglia della maturità: come nella poesia che ci mostra i «fratelli ielmini / a piedi nella nebbia / vicino a lampugnano / a un passo dallo stadio di san siro», che finisce dicendo che sono loro, come tutti, il sale della terra. Nel «ciao» che suggella la visione, vediamo l’inchino impertinente di un poeta che, in giacca a cravatta, si congeda da un secolo ed entra nel suo tempo con l’umile determinazione di chi sa chi è e che cosa vuole.
(da Mosse per la guerra dei talenti, 2007)
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