Simona Baldelli

La vita a rovescio di Simona Baldelli

Non c’è bisogno di scomodare Manzoni o Pirandello per ricordarci quanto la realtà, a volte, sia più inverosimile della finzione.

Un manualetto che vale come riprova in tal senso, per stare ad autori meno impegnativi, almeno per quanto riguarda la presunzione di classicità, è quello che raccoglie i racconti di Paul Auster sotto il titolo Esperimento di verità.

Su questo nodo poetico mi ha però ricondotto il romanzo di Simona Baldelli La vita a rovescio, non tanto per la storia di Caterina/Giovanni (che è basata su fonti storiche precise, come ricorda in nota l’autrice), ma per alcuni passaggi della storia. La verisimiglianza è infatti un problema di resa espressiva, di credibilità narrativa, non di corrispondenza alla storia reale.

Va bene, si tratta di un libro di avventura, nel complesso intrigante e apprezzabile per molti aspetti, ma troppe volte alcuni personaggi o situazioni si rivelano di maniera. L’inizio è emblematico in senso positivo: si parte con una situazione piuttosto tipica come una rissa in un’osteria, ma la dovizia dei dettagli con cui si rappresenta il milieu e l’abilità narrativa riscattano del tutto il cliché. Ma poi ecco arrivare la madre di Margherita quando scopre il rapporto amoroso tra la figlia e Caterina: imbacuccata e prevedibile, pura marionetta di appoggio per far girare la vicenda, talvolta anche in modo sbrigativo (a p. 96 la protagonista «Non vedeva l’ora di andare incontro a ciò che l’aspettava», mentre ha appena attraversato la vicenda fondamentale della sua vita, il momento originario e rivelativo…) e da lì in poi si accumuleranno altri snodi “poco credibili”. Ci limitiamo a qualche esempio minimo. Nonostante i diversi indugi sul tema sessuale, solo molto tardi il protagonista della storia mostrerà interesse per il membro maschile e la sua specifica proprietà di trasformazione: ma è possibile che tale aspetto emerga così compiutamente solo legato a un episodio particolare (la circostanza che lo porterà a condividere il letto con un uomo) per chi è cresciuto in una società così a contatto con la natura? Giovanni stesso aveva già, a quel punto della sua vita, lavorato addirittura in una stalla. Alla fine della storia, poi, è francamente irritante il suo tracollo sociale, a causa di una nuova fanciulla, sempre di nome Margherita (corteggiata con una serie di incontri degni di una semplificazione provinciale di Shakespeare), che con la sorella più giovane formano una coppia insostenibile di bambine capricciose. E com’è possibile che Giovanni venga curato per più giorni (durante i quali perderà anche i sensi) per una ferita da arma da fuoco alla gamba e nessuno si accorga della sua reale natura?

Non è questione, lo ribadiamo, di corrispondenza ai fatti, ma di resa narrativa. Così, allo stesso modo, nel romanzo tutte le suore che compaiono sulla scena parlano citando in modo un po’ troppo pedissequo e puntuale il Nuovo Testamento, oppure i personaggi oscillano troppo frettolosamente a livello psicologico (così alla “castalda” che determinerà le sorti del/della protagonista basta un complimento per sciogliere una inaspettata – per non dire, ancora una volta, poco credibile – civetteria femminile, prima di ripiombare in un atteggiamento rigidamente bigotto quando Giovanni le confiderà il suo segreto). Soprattutto, il contrappunto letterario creato con i personaggi cavallereschi di Bradamente e Fiordispina risulta presto stucchevole, così come piuttosto melodrammatico sarà il rapporto con Luigia, la prostituta, specie nel momento saliente della sua morte (possibile, poi, che una persona tanto esperta di vita si tradisca in modo così ingenuo?).

Insomma, La vita a rovescio è un romanzo gradevole, che tocca tematiche di attualità proiettandole piacevolmente in un’altra epoca, ma presto sembra fidarsi molto della materia storica, limitando il lavoro di reinterpretazione narrativa a una pratica di mestiere.

 

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