La qualità dei nemici
(L’opera scelta come copertina è di Raimondo Izzo.
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Chi non ha nemici è sospetto. Anche se uno, dal suo punto di vista, può sentirsi in pace con tutti. Di più: talvolta – spiace dirlo – si potrebbero valutare le imprese di una persona considerando la schiera dei suoi avversari. Eppure, in questi anni, sento che la quiete tormentata che mi agita scioglie tensioni e contrasti. La solitudine lascia scivolare la presa ideale degli avversari, e la lotta si fa danza. A tal punto che tutto si rovescia: l’avversario si fa amico, l’unico da abbattere divento io stesso.
Questi pensieri mi sono venuti risistemando, tra gli scaffali, un libretto, di cui vi ricopio l’Amena noterella introduttiva (con dedica), giusto per chiudere i conti. Ricopiarla qui significa per me sorridere di quel che fu, perdonare, dimenticare.
Questo libro doveva vedere la luce anni fa, presso una casa editrice di Firenze. Si era giunti alla correzione delle seconde bozze, quando improvvisamente calò il silenzio. Venni a sapere in seguito che fu un noto poeta, giovane e rampante, a “sconsigliare”, diciamo così, all’amico editore la pubblicazione di questo saggio. Così va il mondo, e non solo fra i poeti, del resto. Ricordo l’aneddoto, tuttavia, non certo per esprimere una morale, piuttosto ovvia, che suonerebbe pressappoco: “la dignità non ha prezzo, ma per tutto il resto c’è sempre la giusta tessera di appartenenza”; l’episodio serve qui soltanto per spiegare come mai il presente lavoro nasca già datato. L’inesausta vena creativa di Mussapi, infatti, ha prodotto nel frattempo altri volumi, che avrebbero imposto una revisione totale di questo studio, il quale però era stato concepito come intervento conclusivo, e non certamente nel senso di un voler chiudere i conti con l’autore (pretesa insensata per ogni analisi critica, tanto più se rivolta a una voce contemporanea – ma forse utopia necessaria, qualora nasca da un’istanza poetica?), quanto nel senso di un voler porre a termine un attraversamento di alcune esperienze dei nostri anni. Per tali ragioni è parso più interessante licenziare queste pagine così com’erano rimaste, piuttosto che sforzarsi di aggiornarle, seguendo l’inerzia della direzione interpretativa già tracciata. Spetterà semmai al lettore misurare la discrepanza tra i giudizi qui contenuti e le nuove traiettorie poste in essere con le più recenti opere di Roberto Mussapi: in ciò consista il senso della pubblicazione.
Il valore conclusivo che chi scrive avvertiva in queste pagine intempestive le rende pienamente sorelle alle altre, uscite a fatica in questi anni e che qui mi piace riepilogare per esteso: Poeti nel limbo. Studio sulla “generazione perduta” e sulla fine della tradizione (Interlinea 2005), Nodi di Hartmann. Sonnambulismi critici (Atelier 2006), Mosse per la guerra dei talenti (Fara 2007), Nel foco che li affina. Verifiche su nove poeti contemporanei, a uso strettamente personale (Atelier 2009), Oltre il varco. Occasioni luziane (Puntoacapo, in corso di stampa). A questo elenco dovrebbe presto aggiungersi (c’è da fare gli scongiuri?) un’ultima raccolta di saggi, Letture critiche. Il puzzle della mia attività critica si completerebbe così. Si tratta di sette libercoli, ma non si cerchino ragioni numerologiche, anche in considerazione del fatto che il saggio su Mussapi apparteneva inizialmente alla serie di indagini ora raccolte nel Foco che li affina (varie circostanze esterne ne hanno in seguito favorito uno sviluppo abnorme, incoraggiandone la divulgazione autonoma). I titoli siglano peraltro volumi molto differenti fra loro per natura, anche se per lo più dedicati all’analisi di poeti contemporanei, con qualche sortita teorica. Nelle mie intenzioni, tutto ciò che in seguito mi capiterà eventualmente di scrivere in ambito saggistico, per quanto possa apparire simile per contenuti e linguaggio, andrà rubricato sotto altra voce, perché frutto di manifesta intenzione poetica: non uno studio teso a mediare punti di vista differenti per disquisire sugli orizzonti interpretativi e tentare una valutazione, ma un combattimento, o un capriccioso approccio parziale per provocare reazioni, o un transito rapinoso teso a suggere elementi utili non tanto alla comunità quanto a me stesso, o altro ancora, purché necessitato da un movimento interno al pensiero poetico, piuttosto che da una volontà di misurazione e catalogazione del caos esterno.
Posta una tale lapide, varrebbe la pena aggiungervi un epitaffio, in conclusione. Servirebbe però qualcosa di sufficientemente ironico per alleviare la gravità di tante pretese e precisazioni, qualcosa che faccia sorridere anche le figure minacciose lasciate vagare sullo sfondo, verso le quali peraltro io stesso lancio sguardi sereni, senza rancori (chi è morto è invulnerabile). Servirebbe, insomma, qualcosa che possa suonare come l’urlo di battaglia della formica rimasta sola, mentre si lancia contro l’elefante. Al momento, però, la fantasia viene meno e dunque il lettore si accontenti, in chiusura, di una semplice dedica:
AL POETA MISTERIOSO
(MICA POI TANTO)
SUPERPREMIATO E SUPERCONSIDERATO
CANTORE DELL’AMORE
CHE TANTO STIMA E A RAGION VEDUTA
IL BUON MUSSAPI
MA ANCOR PIÙ
CHISSÀ PERCHÉ
ODIA ME,
IL FU MARCO MERLIN
RIPUDIATO DA OGNI CONFRATERNITA
CON I SUOI PIÙ SENTITI OMAGGI
QUEST’OPERETTA DEDICA
Motivo in più per non smettere di battagliare. Forse è vano, forse ci si rende ridicoli (ridicolo infatti era don Chisciotte) ma almeno si è vivi, di una vitalità che altri possono appunto solo osteggiare.