La poesia è una marchetta
Buon lavoro, idiota!
Antonio Moresco
Uno (povero illuso!) pensa che in Italia ci siano, che so, almeno quattro o cinque individui che si occupino, per professione, di poesia. Gente pagata, insomma, per monitorare il panorama, per seguire in tempo reale le quotazioni letterarie, per tentare qualche proficuo investimento sulla base di una visione personale del frangente storico.
Qualcuno, se non altro nelle tre o quattro maggiori case editrici, che legga tutti i libri di versi usciti nell’anno nelle collezioni rivali (pochini, in fondo), che segua le riviste i premi i readings, che metta su una squadra fidata di lettori di manoscritti per filtrare quelle due o tre opere inedite di cui farsi mallevadore. Qualcuno, insomma, almeno uno, che faccia da garante per tutto questo andirivieni di generazioni, di mode, di poeti del secolo, di libri dell’anno, di campioni del giorno.
Invece no! In quelle poche, stitiche collane che dovrebbero elargire perle, la maggior parte delle scelte sono compiute da persone sbadate e in tutt’altre faccende affaccendate, e basta seguire i cataloghi per capire che le pubblicazioni di poesia sono spesso servizietti, contentini dovuti a poeti editi da chissà quanto e chissà perché, a narratori che non hanno dimenticato il loro primo amore o che cercano nuovi piaceri per stuzzicare la vena, a baronetti da tenersi buoni e confratelli vari di tali schiatte.
E il bello di tutto questo sapete qual è? Che, a ben pensarci, è giusto così. Perché l’idea di qualcuno che si occupi per mestiere di poesia ci pare disumana. Perché mica è detto che siano davvero belle le poesie che piacciono a noi. Perché il verso del romanziere per anni depositato nel fondo del cassetto è spesso sorprendente e vivo, magari nella sua imperfezione. Perché l’impudicizia con cui si svela, finalmente, il Grande Poeta Promosso in Paradiso raddoppia l’ira suscitata dai suoi versi scialbi, che lungo l’interminabile sua gavetta si sono miserevolmente essiccati.
Credetemi, peggio di un responsabile di poesia non del tutto competente e persino un po’ infastidito (per sacrosanto imbarazzo? per autoconsapevolezza? per legittima difesa?) dall’incombenza cui dovrà pur, alla fine, ottemperare (sceglierà, infine, di fronte alla macchinetta del caffè, col sottofondo mieloso del pretendente di turno, mentre scoprirà dalla finestra il cielo concedersi un piacevole, imprevisto residuo d’estate), ci sono soltanto altri due tipi di individui: il poeta e il critico.
Dio salvi gli editori, e noi lettori di poesia, da tali maniaci contabili dell’assoluto.
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