Castighi e premi

Ecco che cosa scriveva don Bosco nel suo opuscolo sul Sistema preventivo a proposito dei castighi, nella sua severissima epoca:

Che regola tenere nell’infliggere castighi? Dove è possibile, non si faccia mai uso dei castighi; dove poi la necessità chiede repressione, si ritenga quanto segue:

  1. L’educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere. In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma un castigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai.
  2. Presso ai giovanetti è castigo quello che si fa servire per castigo. Si è osservato che uno sguardo non amorevole sopra taluni produce maggior effetto che non farebbe uno schiaffo. La lode quando una cosa è ben fatta, il biasimo, quando vi è trascuratezza, è già un premio od un castigo.
  3. Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni, e si usi massima prudenza e pazienza per fare che l’allievo comprenda il suo torto colla ragione e colla religione.
  4. Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili debbonsi assolutamente evitare, perché sono proibiti dalle leggi civili, irritano grandemente i giovani ed avviliscono l’educatore.

Castigare avvilisce anche l’educatore. Talvolta, lo rende vile.

Ma è possibile tradurre queste semplici indicazioni in norme da applicare in aula? Direi proprio di sì.

Se si è conquistata la stima dei propri alunni, il miglior castigo è il premio mancato. Può bastare un gesto di distacco, di disapprovazione, un negarsi improvvisamente alla relazione, per mettere in moto nel ragazzo la dinamica giusta. Inoltre, qualche volta basta “servire per castigo” ciò che magari è un impegno già previsto, o in ogni caso verbalizzare il proprio biasimo, esprimere la propria delusione, agire insomma sempre attraverso la ragione, dimostrando anche nell’occasione del rimprovero la stima (che implica sempre possibilità di riscatto) verso il ragazzo. In questi casi, la cura consiste nell’evitare il rimprovero pubblico. (Eppure quante volte un insegnante, anche senza rendersi conto, si lascia andare a gesti o espressioni che esprimono chiaramente un giudizio esplicito: “Incredibile, questa volta l’esercizio è uscito persino a Tizio!”; “Se ha capito Caio, non potete non aver capito tutti…”). In cortile, la pratica salesiana raccomanda anzi il dialogo con il ragazzo mentre si cammina, perché sia attutito il distacco rispetto al gruppo in cortile, si resti lì in mezzo all’allegria, si cammini insieme. E il richiamo diventa invisibile.

Ma la regola aurea implicita in tutte queste indicazioni è una: l’abbondanza di premi. Sommergete i vostri alunni di pubblici elogi, tutte le volte che potete!

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