Il metodo dei metodi

La pedagogia di don Bosco, a ben vedere, non aveva nulla di originale rispetto alle acquisizioni teoriche più avanzate del suo secolo. La sua originalità e fortuna derivava dal mix di elementi che hanno saputo trasformarsi in una pratica efficace, contemporanea allora. Per questo ogni metodo racchiude in sé la necessità della propria revisione.

Anche il metodo che stiamo delineando per baluginii su queste pagine, e soprattutto sperimentando nell’esperienza quotidiana, non pretende alcun marchio di originalità. Anzi, ci pare possa rinvigorire grandi capisaldi della tradizione pedagogica occidentale – magari disseminati qua e là e parzialmente dimenticati – risalendo addirittura alle sue origini. Certe mnemotecniche, per esempio, riportano dritti a Cicerone. Il “fuoco” di queste pratiche, però, resta la ricaduta nella realtà odierna.

Siamo convinti, anzi, che non siano le metodologie, in sé, a distinguere insegnanti buoni e meno buoni (posto che una simile distinzione abbia senso). C’è infatti un metodo che precede e fonda ogni altro metodo didattico: si tratta della lucida consapevolezza di sé e della situazione didattico-educativo che si sta vivendo. Questo è il principio che guida la più saggia ed equilibrata flessibilità metodologica.

Un ideale eclettismo considera tutte le varianti in gioco (i diversi “cervelli” con cui si ha a che fare; il loro attuale livello cognitivo ed emotivo; gli obiettivi a breve, medio e lungo termine da raggiungere; la ricaduta educativa in quel preciso frangente di qualsiasi scelta didattica; le attese delle famiglie e della società in generale; e così via) e rende contemporanea qualsiasi soluzione. Scrivere a mano sotto dettatura oppure discutere liberamente oppure comporre un testo con strumenti digitali a partire da maggiori vincoli o manipolando un testo già dato sono, per esempio, opzioni diverse che possono avere tutte un senso. Ma quale applicare, allora?

Ecco, spesso mi sono ripensato all’uscita di certe lezioni che mi sembravano essere state perfette. Mi sentivo soddisfatto di me, addirittura esaltato, e in quel momento le sensazioni circa gli effetti sulla classe erano estremamente positive. Ma era davvero così?

Magari, alla mia classe sarebbe servito di più un noioso esercizio di dettatura o di correzione di errori: chi può averne la certezza?

Pertanto, ogni volta che mi si chiede di misurare l’efficacia delle strategie che adotto, annaspo. No, non fuggo il problema, anzi cerco di raccogliere informazioni, valutare, dare fondamento scientifico al mio sapere umanistico – poi però mi chiedo quali siano i veri obiettivi (l’esame imminente? il risultato invalsi? o qualcosa di più inerente alle sfuggenti finalità della materia?). E poi, in definitiva, come valutare chi valuta?

Non se ne esce. È la legge del contrappasso per l’insegnante che cerca di stare lì, sul margine dell’onda, che cerca di stare cuore in alto, facendo surf sul presente.

 

 

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