Il perdono e il ricatto

L’esercizio del perdono è fondamentale per l’uomo in generale e strategico per ogni educatore. Per-donare significa donare nuovamente la vita.

Spesso però si cade in un terribile equivoco e si rimane imprigionati in una sorta di ricatto morale: si pretende il perdono. Ma il perdono per sua natura si può chiedere, ma non pretendere.

“Tu sei buono, quindi devi perdonare”, “Sii coerente con la tua morale di cristiano e porgimi l’altra guancia!”: queste molte volte sono le richieste, implicite o esplicite, che nascono una subdola forma di violenza. Verrebbe da ricordare il celeberrimo pugno che papa Francesco avrebbe tirato all’ipotetico amico, dopo un insulto alla madre. Io prenderei quell’esagerazione come una evidente disinnesco del ricatto morale di chi pretende che sia l’altro ad operare il bene, deresponsabilizzando se stesso.

In effetti, il perdono non nasce nemmeno da chi ha subito un torto, ma da chi lo ha commesso. Mette radici nel cuore del colpevole. Se infatti il perdono non comporta quantomeno un’apertura al cambiamento, ovvero se non nasce da un reale pentimento, concederlo o no diventa un gesto pleonastico.

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