Narrativa d’oggidì: Giorgio Fontana
Alla ricerca dell’equilibrio tra l’amore per la parola (potenza narrativa) e l’amore per i personaggi (forza emotiva), Giorgio Fontana risponde alle nostre domandine impertinenti
Perché scrivi?
Eh, saperlo. Alla fine sono arrivato a questa conclusione: scrivo perché è il mio modo fondamentale di rapportarmi alla realtà — sia esistenzialmente che eticamente. È il mio modo di mettere insieme i pezzi, e di porgere questo insieme ad altri.
Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?
Non sono così addentro alla narrativa odierna (italiana? internazionale? di preciso cosa si intende per “odierna”?) per formulare una risposta. Cerco di fare il mio. Una via consapevole al realismo, mettiamola così.
Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani.
L’amore per i propri personaggi.
Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.
Un pezzo da alcuni “frammenti sull’abbandono” cui sto lavorando: «A questo punto, ripercorri le mosse che hanno portato alla conclusione. Ma essendo stata così repentina (ti consideri pessimista e vissuto a sufficienza da prevedere le catastrofi con discreto anticipo), sembrerà anche ingiustificabile. Il rapporto causa-effetto se ne va a puttane, e l’impossibilità di trovare ragioni è uno scacco che non riesci ad ammettere, perché ingolfa il tuo sistema di elaborazione.
Non trovando risposte, le domande si accumulano come in una coda alle poste. Possibile che sia finita così? Possibile che tutte quelle parole d’amore abbiano cambiato segno di colpo? Possibile che la persona che il giorno prima mi baciava ascoltando jazz fosse la persona che il giorno dopo mi ha abbandonato?
La risposta è molto semplice: sì, è possibile. E siccome non riuscirai ad accettarla con la ragione, dovrai accettarla con altri organi. Le tue mosse, ben calcolate, falliscono nella maniera più ridicola: il Caso ti sfugge fra le dita — ma pensa! non è forse la sua natura? — e ti senti due volte idiota.
Ancora un minuto, ed ecco una condizione peggiore: il Caso veste il volto di Destino — “non la rivedrò mai più” — e allora capisci di essere semplicemente perduto»
Come si forma un’opera nella tua officina?
Mi viene un’idea, generalmente quando sto facendo tutt’altro. La sviluppo, ci gioco sopra, prendo un bel po’ di appunti. Poi in genere comincio a stendere la storia, a saggiarla. Se funziona vado avanti — schemi, struttura, scrittura, riscrittura, riscrittura, riscrittura ecc. — altrimenti mi fermo.
Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?
Non ho ancora trovato la sintesi che desidero fra forza narrativa e potenza emotiva.
La critica più intelligente che hai ricevuto diceva che…
Novalis ha qualcosa di falso, di troppo freddo: l’attenzione alla lingua sopravanza l’attenzione ai personaggi.
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