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Il pensiero dell’altro

«Pensare è spostarsi» (P. Bigongiari); pensare è andare altrove, per cogliere l’hic et nunc nel suo fondamento.

E l’altrove non è evasione, ma inabissamento. L’altrove è ovunque. Stare altrove è la condizione eterna del viaggio, la radice (fissa) della metamorfosi.

Solo tale radice garantisce la sensatezza del delirio (de-lirare, uscire dal solco): perché sia un delirio fecondo, che dà nuova forma, trasforma l’alveo d’origine.

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Pensare è altro. Pensare è alterarsi.

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Il sopraggiungere (avvertibile solo per difetto) del terzo nome che manca al linguaggio, apre alla parola una nuova dimensione, aiutandola a partorire –ad accogliere il transito di– ciò che le mancava: l’impensato, il nuovo.

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Il terzo nome è il frutto concepito dal dia-logo interno al linguaggio. Ma il terzo nome non è più linguaggio, essendo pensiero incarnato.

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Cerco di captare il dialogo fra le parole, respiro l’ossigeno tra le maglie della rete. Per poter di nuovo uscire, chiudere il libro.

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Il terzo nome è verbum.

 

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