La rivista Atelier in esposizione

L’amore che fu

Accolgo ogni nuovo numero di Atelier con sentimenti contrastanti. Il moto spontaneo di interesse si dissolve quasi sempre al primo impatto. Mi basta sfogliarla e adocchiare i titoli per sentire il bisogno di archiviarla. È stata la mia rivista, ora mi appare completamente estranea.

Immagino sia un problema mio e non voglio ricavarne immediatamente un giudizio di valore. È come quando si lascia una ragazza amata perdutamente. Del resto, anche  la rivista ha rimosso il mio nome. Non che debba ovviamente comparire nell’attuale redazione, ma c’è stata, di fatto, una prima serie, anche se questa discontinuità non è stata riconosciuta. E  di quella serie, peraltro, non ero solo uno dei due direttori, ma l’ideatore.

Per il resto, dovrei ribadire, e forse aggravare, le sensazioni espresse a suo tempo.

Forse, riaprissi anche qualche numero più vecchio, proverei una medesima sensazione di distacco, se non di repulsa. Eppure, non percepisco alcuno spunto nuovo, sembra quasi che ogni numero sia una spropositata celebrazione di sé. Con tutto quello che ci sarebbe da fare! Era una piega – una piaga – già riconoscibile nei numeri che seguivo, probabilmente. Anche per questo, del resto, avevo intuito la necessità di infrangere lo specchio, di andare oltre. Il compiacimento è la tossina peggiore per chi si occupa di letteratura.

Il sito è improponibile. Quasi un poeta al giorno – e via. Hanno gentilmente invitato anche me a pubblicare qualche inedito, ma ho altrettanto gentilmente rifiutato. Non perché si trattasse, per l’appunto, della mia ex (rivista), ma perché non capisco che cosa si ottenga a essere centrifugati in quella rassegna. Un paio di giorni sotto i riflettori? (Ma poi, quali?) Quello che conta oggi per un poeta è raggiungere quel manipolo di consanguinei che possono davvero leggerti e capirti. Insomma, il senso delle cose, o almeno il senso del mio viaggio, è proprio in direzione opposta.

Ma provare un reflusso di noia mortale al primo sfoglio della rivista cartacea, beh, questo è veramente un dispiacere.

Non si perdona a una donna un amore bugiardo…, diceva un poeta.

 

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