L’arte e la regola del fuorigioco
L’opera d’arte inibisce.
Il chiacchiericcio viene attivato o fomentato da un commento, da un giudizio critico, da un pensiero razionale. Si può arrivare facilmente a discutere e persino litigare su un rigo che esprima un’opinione. Di fronte a un verso, no. Ti puoi imbattere in una poesia orrenda, non mostrerai all’autore la tua indignazione. Farai finta di niente, o cederai all’ipocrisia del “mi piace” per quieto vivere. Una pacca di incoraggiamento non si nega a nessuno. Perché, appunto, l’opera d’arte ha inibito l’aggressività, il senso del controllo, ha posto il suo oggetto fuori dal mondo.
È una dinamica consueta nei social.
Possibile obiezione: spesso un romanzo viene attaccato con ferocia. Risposta: in questi casi l’oggetto del proprio attacco non è l’opera, ma l’autore o, meglio, l’idolo che ci si è creati. Un feticcio.
L’intervento saggistico tiene in gioco tutti. L’opera d’arte (e sopra tutte, ovviamente, la poesia) disorienta, mette in fuori gioco, sospende i meccanismi razionali e le reazioni istintive e scontate. Ti vedi solo davanti alla porta, ma capisci che tirare e magari fare centro non conta più nulla.
Avere ragione, davanti a un’opera d’arte, non ha senso.
E poi, a un livello successivo, comincia la selezione:
– quelli che criticano aspramente in luoghi a parte, nella cerchia dei compiacenti: pavidi che rosicano e aspettano il loro habitat per rivelarsi. Sono gli artisti di serie B, senza speranza, quelli che pretendono di essere sempre in gioco anche se non sanno alzare la testa dal pallone. Oppure sono i critici da bar
– quelli che non riusciranno mai, effettivamente, a esprimere il loro giudizio. Sono i candidi, i puri. Saranno le anime migliori di questa terra, capaci davvero di apprezzare e giustificare ogni palpito dell’universo, o semplicemente individui semplici e sprovveduti: anche quando l’azione è valida, non tireranno mai in porta, non avranno mai il coraggio di infierire sull’autore
– quelli che all’occorrenza (quando valutano che può valerne la pena, confidando magari nel contesto favorevole o nella maturità dell’autore) esprimono il loro dissenso: saranno i giovani idealisti oppure quel gruppo ristretto di lettori informati, di intellettuali, di critici, di artisti a loro volta ecc. Sono tutti quelli, insomma, che hanno effettivamente capito come funzioni la regola del fuorigioco e possono abitare quel discrimine. Su questa categoria di persone vorrebbe fondarsi una società letteraria.
Ma la società letteraria, da tempo, ha raggiunto a causa dell’intromissione delle prime due categorie una massa critica ingestibile, che il capitalismo vorrebbe comunque mantenere se non incrementare, magari sbandierando ideali democratici. Peccato che l’arte sia selettiva, non democratica.
Che fare, allora?
Niente. O meglio: mettere un punto a queste righe che fomentano il chiacchiericcio e dedicarsi all’arte.
Un artista non è un politico, non si dedica se non in seconda o terza battuta del futuro dell’arte: sa che provvederà da sé.
L’arte migrerà − senza bisogno di indicazioni − esattamente là dove è destinata.
(Anche dietro a un verso apollineo che parla d’amore, si nasconde sempre un messaggio politico primario: fanculo il capitalismo)
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