Parlare di niente
Sono perfettamente in grado di parlare di niente con chiunque. Posso intrattenermi sulle notizie meteo, commentare l’andazzo politico, entrare nei tecnicismi delle squadre di calcio, esprimere un’opinione sui fatti del giorno anche quando non sono particolarmente informato. Mi sembra di riuscire a essere spesso sufficientemente brillante e di piacevole compagnia. Ho un vivace e popolano senso della goliardia; non mi sono estranei nemmeno gli accenti più triviali. Con gli anni, ho inoltre imparato ad ascoltare sempre meglio, a dare spazio maggiore agli altri, a osservare e godermi la scena del nostro parlare di niente. Del resto, la sostanza della vita fruscia anche tra le sillabe più vane. Negli anni ho amato questo chiacchiericcio fine a sé stesso.
Mi accorgo però che sempre più mi sottraggo spontaneamente a questi contesti e preferisco stare per i fatti miei. Temo che a volte possa apparire un po’ snob, per questo, ma personalmente la noia crescente che provo per simili situazioni non è un giudizio sugli altri, piuttosto un sentimento del tempo che non mi fa sentire contemporaneo alla maggior parte dei miei contemporanei. Non è che pretenda di discutere sempre di letteratura o di scuola o dei massimi sistemi, però, anche a costo di qualche indelicatezza, per quanto cerchi di controllarmi scalpito, finché non accelero per arrivare subito al dunque, e se il mio interlocutore non è pronto a precipitare con me al fondo delle cose (parlare davvero del tempo, di politica, di calcio, di niente), mi defilo. Se non c’è niente da dire, viviamo questo stesso imbarazzo, oppure ciascuno segua il suo tempo interiore.
Così, in sottofondo, cresce il mio dialogo con i morti.
I libri cicalano alle mie spalle, mi fanno l’occhiolino.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!