Sofferenza letteraria

SCRIVIVERE – OVVERO LA SOFFERENZA LETTERARIA

Raccontavo a un amico, preoccupato delle traversie da superare per giungere alla pubblicazione (partecipare a scuole di scrittura creativa? affidarsi a un’agenzia? ancora editori a pagamento?), che questi problemi scompaiono se uno ama sinceramente la letteratura, ovvero si dedica anima e corpo a ciò che lo gratifica: leggere e scrivere. Poi, certo, occorre anche curarsi di ciò che segue, cercando anzitutto di guadagnarsi una posizione all’interno dei propri pari e poi ingegnarsi. Ma anche in quel caso, i tormenti saranno accompagnati dalla solita, gratificante (anche quando faticosa) occupazione: leggere e scrivere.
Anni fa, un giovane intelligente mi esprimeva le medesime preoccupazioni. Anzi, era fortemente turbato, esistenzialmente angosciato dalla pubblicazione. Dopo più di un’ora di chiacchiere, gli chiesi di farmi leggere il suo testo, magari avrei trovato il modo di aiutarlo. Sorpresa: non aveva ancora pronto niente.
L’aneddoto è significativo per mostrare quanti sono a tutti gli effetti in ambascia non per un oggettivo bisogno di rendere giustizia alla propria opera, dopo che questa ha già superato il vaglio dei capolavori della letteratura a fianco dei quali vorrebbe trovare posto almeno come ulteriore, degno tassello di un infinito affresco (ovvero dopo aver letto e compreso il meglio di quanto precede il proprio lavoro). Molti soffrono per il desiderio di essere scrittori affermati, per la brama di salire sul palco sotto i riflettori o di divenire in qualsiasi modo “favola al popol tutto”. Vorrebbero la gloria, mondana o letteraria. Magari persino l’ideale immortalità che ne deriva, stando alle moriture dicerie di qualcuno.
Si tratta di concupiscenza intossicante. Chi soffre per la pubblicazione non è profondo – non è sprofondato nella letteratura. Che poi qualche scrittore contemporaneo (esempio: Moresco) abbia reso questo stesso rovello materia per la propria opera, è sintomatico per spiegare sia la condizione dei nostri tempi, in cui all’amore si sostituisce la pornografia, sia la valutazione controversa dello stesso autore.
Leggere e scrivere, dunque. Non ci siano altre preoccupazioni. Leggere e scrivere quotidianamente. Con dedizione totale. Con le gioie e le fatiche che ogni matrimonio comporta.

Non hai ancora letto (e letto davvero, masticandone parola per parola, lasciandone scorrere la sintassi lungo la tua spina dorsale in una ginnastica metabletica) Boccaccio, Cervantes, Shakespeare, Proust, Joyce, Nabokov, Gadda ecc. ecc. ecc.? Non osare proporre la tua opera, e soprattutto non esibire la tua sofferenza letteraria.

E poi, oltre a leggere e scrivere, c’è la vita, che scompiglia sempre i piani. Anzi, secondo alcuni, secondo il mito che alcuni si appendono alle pareti della propria vanità, la vita stessa sarebbe il vero nutrimento delle opere.
Questo è un altro capitolo complesso. Qualcosa ci è già capitato di annotare. Così, mentre scriviamo e viviamo, anzi, scriviviamo, teniamo presenti, tra le tante possibili, le parole con cui Iosif Brodskij presentava la poesia di Zbigniew Herbert in Italia:

Tutto sommato, vita e arte sono cose diversissime, tanto per cominciare […]. La vita di un uomo può essere piuttosto semplice e persino agiata, ma ciò che egli scrive può rivelarsi oscuro ed ermetico. D’altra parte, un uomo può avere una vita piena di avversità, pericoli e complicazioni, e tuttavia dalla sua penna non uscirebbero che banalità o idiozie. Uno può sopravvivere al bombardamento di Hiroshima o a venticinque anni di campo di concentramento, e non produrre nemmeno una riga, mentre a qualcun altro basta una notte per tirar fuori una lirica immortale. In breve, se il nesso tra vita e arte fosse così ovvio come i signori critici cercano di farcelo apparire, a quest’ora avremmo tra le mani una mole di arte infinitamente maggiore di quella che abbiamo. Maggiore e forse anche migliore.

 

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