Il circuito della frustrazione
“Mio figlio ci è rimasto veramente male per il voto: si era impegnato così tanto!”
Chissà quante volte ai professori sarà capitato di sentire una frase del genere. Naturalmente, si potrà volgere al femminile o tradurre in molteplici formule analoghe dal medesimo significato. E, in base agli infiniti contesti possibili, assumerà sfumature di volta in volta differenti. Tuttavia, semplificando brutalmente, la ricondurrei a due estremi di senso.
Al primo polo, si tratterà di una informazione quasi neutra, atta a certificare che c’è stato impegno. La risposta più corretta, dunque, sarebbe:
“Meno male! Temevo che dietro al risultato negativo ci fosse disimpegno!”
Nella mia esperienza raramente, però, mi è capitato di cogliere, dalla situazione e dal tono, questo messaggio in forma pura e cristallina. Più o meno velatamente, nasceva già la domanda, peraltro legittima, anzi fondamentale: “Come mai l’impegno profuso non ha condotto a un risultato adeguato?“. Il tono, ovviamente, resta essenziale. Se la domanda è reale, se non nasconde impliciti, è veramente fertile. Il genitore chiede di capire e ha intenzione di collaborare, eventualmente, per la soluzione. E’ la domanda che permette di aprire la scatola magica, idolatrata fino alla bacchettoneria, dell’impegno (parola pericolosa su cui ci soffermeremo in seguito).
Il più delle volte, invece, ci si troverà al polo opposto. Il tono della domanda sottesa nasconde ben altri impliciti. Messi in fila, costruirebbero all’incirca questo pseudo-ragionamento:
- all’impegno deve corrispondere necessariamente un risultato adeguato
- siccome mio figlio si è impegnato, doveva ottenere un risultato accettabile
- siccome mio figlio si è impegnato e non ha ottenuto un risultato accettabile, lei come insegnante è la causa dell’insuccesso
- essendo il responsabile dell’insuccesso di mio figlio, deve sentirsi in colpa
- siccome si sentirà in colpa, dovrà risarcire il danno umano provocato
In questi casi, si è innescato il circuito della frustrazione: la frustrazione del figlio si è riversata su quella del genitore, quella del genitore si è riversata sull’insegnante, quella dell’insegnante si riverserà nuovamente sull’alunno. A ogni passaggio, la frustrazione aumenterà.
Tutto nasce dal fatto che nessuno dei tre protagonisti è messo nelle condizioni di vedere e affrontare il problema. L’alunno vede solo un voto percepito come un giudizio sulla persona, il genitore legge tra le righe il proprio insuccesso come genitore, l’insegnante riceve una carica di tensioni esorbitanti che annichiliscono la sua professionalità se non la sua stessa umanità. Tutti si sentono impotenti. Ma come spezzare questa catena perversa?
Temo ci sia solo una possibilità. Qualcuno deve prendere consapevolezza della situazione, leggerla con finezza, presentarla in termini adeguati agli altri. Si può pretendere questa maturità dal figlio/alunno? Ovviamente no. Ma se la domanda giunge al docente, nei toni che abbiamo descritto, significa già che nemmeno il genitore è stato in grado di valutare con sufficiente distacco “la scena” in cui è coinvolto come attore. Ahimé, ricade dunque, questo incarico delicato, ancora una volta sulle spalle del docente, sempre più sovraccaricato da compiti inediti rispetto al passato. Deve essere lui a strappare la scenografia, a spegnere i riflettori, a mostrare le quinte, a scendere dal palco e a far mettere i piedi di tutti saldamente per terra.
Serve un abbozzo di risposta? Consiglierei una spinta gentile per abbassare la temperatura dell’affermazione fino a ricondurla al primo polo. Dopo un bel sorriso comprensivo e disarmante, consiglierei, più o meno, di ragionare esplicitamente in questi termini:
Suo figlio si è impegnato ed è rimasto deluso dal risultato? Per fortuna, allora è sano e non ci sono problematiche psicologiche particolari da risolvere! Le consiglio dunque di responsabilizzarlo. Anzitutto, lo inviti a venire da me per esprimere la sua frustrazione. Vedrà che in questo modo mi sarà possibile aiutarlo a interpretare il suo vissuto. Dietro al lavoro sprecato e a un voto deludente cominceremo a porci alcuni obiettivi precisi e raggiungibili in tempi brevi (in modo da gratificarlo quanto prima e risollevarne l’autostima) e soprattutto di metodo, affinché il suo sforzo sia sempre, il più possibile, produttivo. Questo è mestiere mio, ben sapendo che, comunque, siamo tutti esseri umani e abbiamo dei limiti, per cui nessun individuo sano penserà mai di ottenere successo sempre e in tutti gli ambiti. Ma la scuola ha anche questa importante funzione educativa e orientativa: attraverso lo studio una persona scoprirà chi è, quali sono i suoi peculiari talenti, quali orizzonti infine vorrà coscientemente porsi per il proprio progetto di vita.
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