Scrivere è come il Karate

Scrivere tutti i giorni

Nulla dies sine linea, sostenevano già gli antichi. E se c’è un punto su cui tutti i maestri di scrittura concordano, è proprio il fatto che sia importante scrivere ogni giorno. La scrittura, come un fuoco, va alimentata. La sorgente dell’ispirazione deve essere continuamente attraversata, perché i detriti non la occludano. Del resto, come si dice, il primo verso te lo danno gli dei, ma il resto è fatica.

Un pianista senza allenamento quotidiano smette semplicemente d’essere un pianista. Chi scrive crede di poter ricominciare quando vuole: ed è vero, solo che si vedrà tutto il tempo in cui non ha tenuto pulito il canale dell’immaginazione, tutto il tempo in cui non ha fatto pratica.
Un tempo facevo i cento metri in dieci secondi e adesso ho la cellulite anche sul naso. Si vede sul nostro corpo, non crediate che emozione, cervello e stile seguano regole diverse.

Così per esempio si esprime Antonella Cilento. Non diversamente si esprime Flannery O’Connor in una lettera:

Sarà pedestre finché vuoi, ma io credo fermamente nelle abitudini in materia di scrittura. Certo, se hai del genio puoi anche farne a meno, ma la maggior parte di noi ha solo talento, che va strenuamente sostenuto con abitudini fisiche e mentali, altrimenti si inaridisce e sfuma. Lo vedo succedere di continuo. Ovviamente devi adeguare le abitudini che prendi alle tue possibilità. Io lavoro solo un paio d’ore al giorno perché è tutta l’energia che ho a disposizione, ma in quelle due ore non permetto a niente di interferire: stesso orario, stesso posto. Non che riesca a ricavare granché da quelle due ore. Certe volte lavoro mesi e mesi e poi mi vedo costretta a buttare via tutto, ma sono convinta che non è mai tempo sprecato. Qualcosa comunque si muove e, al momento buono, renderà tutto più facile. E il fatto è che se non ti metti seduta tutti i giorni, al momento buono tu non ci sei.

Eppure, intorno a questo principio sono piuttosto combattuto. Grosso modo, sono convinto che occorra una disciplina costante, ma credo pure che la vacanza, la distrazione, il distacco, persino la pigrizia e la dimenticanza abbiano effetti benefici. Permettono alla natura di compiere il suo corso e, per esempio, di lasciar decantare le intenzioni, le intemperanze, le emergenze, che non per forza sono le reali urgenze, all’interno del proprio discorso creativo.
Il paragone che viene immediatamente, quando si parla della necessità dell’esercizio quotidiano della scrittura, è con l’allenamento fisico. Se non si dedica un tempo sufficiente durante la settimana, non si hanno effetti benefici. Se l’attività è protratta per mesi, ma poi viene abbandonata, la fatica della ripresa sarà davvero notevole e, anzi, si correranno persino dei rischi. Solo chi si allena costantemente per anni avrà cambiato condizione e il suo corpo trasformerà la fatica in piacere. Si arriverà persino a una dipendenza dall’attività. Nella strenua applicazione, si sarà aperta la breccia del benessere.
Eppure, ci sono altre variabili da prendere in considerazione. La prima, è che non tutti possono agevolmente permettersi un allenamento quotidiano. Non tutti hanno il tempo, e soprattutto le condizioni psicofisiche, per scrivere ogni giorno. Il lavoro e la famiglia sono i primi ostacoli, in tal senso. E allora comincia a insinuarsi un dubbio: non è che la scrittura, in questo tempo così dichiaratamente democratico, non tenda a trasformarsi ancora in un privilegio per alcune categorie sociali? Svilupperemo questa provocazione in altra circostanza, se sarà possibile.
La seconda variabile riguarda gli esercizi specifici necessari alla scrittura. Siamo certi che per imparare a scrivere occorra soltanto scrivere? No, anche leggere, viene da ammettere subito. E tradurre, ovviamente. Forse però anche guardarsi un buon film. O camminare e osservare attentamente il paesaggio. O conversare con una persona intelligente. O semplicemente ascoltare, ascoltare e osservare tutto, persino ciò che pare inerte, privo di intelligenza. Vi ricordate il film Karate Kid? Metti la cera, togli la cera… Il vero karate nasce dalla vita stessa, da una disciplina che ha radici in gesti quotidiani, apparentemente lontani dalla performance conclusiva. (Ma, già che ci siamo, in quel film la scena che preferisco è quando il maestro spiega che il karate si può imparare o non imparare, ma impararlo a metà e pericoloso).
E allora il paragone che vorrei proporre al posto dell’allenamento è quello della preghiera. Se la parola infastidisce qualcuno, la si sostituisca tranquillamente con la parola meditazione, o qualcosa di analogo. Ci sono riti precisi, lo sappiamo per entrare nella preghiera, per ritagliare dalla quotidianità uno spazio consacrato, per cambiare il nostro stato psicofisico e prendere contatto con parti di noi normalmente silenziate, rimosse. Ma poi il segreto o la sfida della preghiera, o della meditazione, è quello di espandere quella condizione anche oltre i margini definiti dal rito, e a quel punto anche lavare i piatti, stendere i panni, portare a passeggio il cane, guardare fuori dalla finestra, e persino lavorare, potrebbero diventare forme di preghiera. È difficile, ma la sfida è questa.
Ciò significa che scrivere dovrebbe aiutare a cambiare la nostra stessa umanità. Se davvero hai trovato qualcosa, nella pagina, la parola che hai scritto è lì che ti chiede ragione. E da lì devi ripartire, da quel livello di nuova consapevolezza. Altrimenti, la scrittura è solo mestiere, produzione seriale.
Rispetto al principio dell’esercizio quotidiano della scrittura resto dunque combattuto. Constato che nella mia vita non mi riesce, di scrivere sempre. Così, mi consolo con un pensiero di Alberto Arbasino, che diceva:

Non c’è niente di peggio che lavorare a orario fisso: si produce scrittura burocratica

BIBLIOGRAFIA

  • Antonella Cilento, La caffettiera di carta. Inventare, trasfigurare, narrare: un manuale di lettura e scrittura creativa, Milano, Bompiani, 2021, p. 88
  • Flannery O’Connor, Un ragionevole uso dell’irragionevole. Saggi sulla scrittura e lettere sulla creatività, Roma, Minimum Fax, 2019, pp. 291
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