Tribuiani-Binari

Narrativa contemporanea: Giorgia Tribuiani

La scissione sembra essere, per Giorgia Tribuiani, la questione cruciale, replicata e variata a diversi livelli: tematico, stilistico, strutturale. Così per esempio il personaggio di Blu proponeva un’adolescente dimidiata: è insieme Blu (soprannome attribuitole fin dall’infanzia) e Ginevra.

Ma scissa è la sua stessa famiglia, e in ogni rapporto affettivo, per esempio con la sorellastra o con il fidanzato, la protagonista si trova sempre sulla soglia dell’inclusione e dell’essere “out”, e così via. Il conflitto interiore si oggettiva poi nell’architettura del romanzo, in cui le vicende della diciassettenne sono sistematicamente messe in contrappunto con gli episodi dell’infanzia, o comunque con lampi e associazioni mnemoniche. Più che la trama, conta dunque nella narrazione di Tribuiani l’intreccio psicologico. Il tempo non è lineare, al presente si affianca sempre un passato che, ovviamente, riemerge, sottolinea, dà spessore simbolico a ogni dettaglio ed evento, fino a tessere il senso dell’ossessione. La maestria dell’autrice si rivela nella tecnica con cui episodi dell’infanzia e dell’adolescenza si rispecchiano emotivamente, ma soprattutto si palesa nelle cuciture linguistiche, nei molteplici espedienti adottati per scivolare da un piano all’altro e portare avanti, contemporaneamente, la doppia narrazione. Ogni sequenza presente si lega a quella passata il più delle volte attraverso riprese lessicali, come se le scene fossero coblas capfinidas di una canzone, oppure attraverso oggetti e elenchi che si allacciano gli uni agli altri, secondo una logica di continuità o di contrasto. Il lettore, perciò, deve mantenere alta l’attenzione, non è accompagnato con titoli o altri indicatori in questi salti temporali e in queste costanti dislocazioni. A ciò si aggiungano tutti gli altri elementi che caratterizzano una scrittura a tratti sperimentale, desiderosa di mantenere alta la tensione fin dall’incipit: sintassi paratattica, spesso ridotta al minimo, magari con periodi di una sola frase nominale se non addirittura composte da un solo termine, per lo più un verbo, in modo da trasmettere un ritmo incalzante (l’incipit del libro: “Blu, riapri gli occhi. Chiudili. Aprili e chiudili: tre. Aprili e chiudili: quattro. Aprili e chiudili, cinque”); un procedere iterativo, ribattuto, di volta in volta su alcuni elementi assillanti (numeri, marche, cibi, sentenze) che progressivamente si mescolano e si richiamano, decontestualizzati e stranianti; la rinuncia a marcare il discorso diretto attraverso la punteggiatura; l’uso di parentesi per ribaltare, un po’ zanzottianamente, l’asse paradigmatico sull’asse sintagmatico, aprendo l’enunciato all’ambivalenza; uso improvvisamente espressionistico della punteggiatura (“Non. Sta. Respirando, il tuo disegno”) fino al divertissement più sofisticato (“ti comprano il gelato al Puffo blu – che poi davvero mangeresti un puffo, Blu?”); giochi di parola come: “Re Mida, ogni cosa diventa (D’ora?) d’oro” (laddove il rimando è a Dora, conturbante artista che scatenerà il dissidio di “Ginevrablù”), e così via. La voce narrante, per soprammercato, adotta la seconda persona, dunque si rivolge direttamente alla protagonista, muovendosi su una scala graduata che può passare dall’osservazione apparentemente distaccata all’esortazione più o meno accorata a imperativi velati di disprezzo. Tutto questo suggerirebbe l’intenzione di costruire un flusso avvincente se non addirittura ipnotico; il modo migliore per esaltare le caratteristiche del testo sarebbe una lettura senza soluzione di continuità, anzi accelerata man mano che si giunge verso la fine del libro, dove la tensione drammatica si associa a un crescente, vorticoso virtuosismo stilistico, che riepiloga e stringe quasi in un unico nodo le soluzioni espressive, i simboli e i temi disseminati lungo le pagine precedenti. Se di performance art si parla nella storia, si potrebbe asserire che il libro stesso ambisce a essere una prova performativa. Se l’esito in sé risulta complessivamente convincente (ma il rischio è che i registri siano troppo distanti e sul punto di sconfessarsi a vicenda: “Blu, le tue seghe mentali, però, chi se le incula?”), se davvero lo scopo della scrittura è una forma di resistenza o di rimedio alla scissione, se insomma scrivere è a suo modo un atto di fede (del resto, religione rimanda a ‘religare’) nei confronti dell’umanità, il radicamento esistenziale e la profondità di tale ricerca ha bisogno di essere confermata di opera in opera, di essere cioè verificato nel percorso complessivo dell’autrice.

E in effetti, per quanto possano trattarsi di opere in qualche modo minori, i due titoli più recenti di Tribuiani non risolvono il dubbio, anzi lo accrescono. Si tratta di due racconti, Binari (Hopefulmonster) e Superstar (Tetra edizioni), entrambi del 2022, in cui troviamo rielaborato in modo ancor più schematico il tema della scissione. 

In Superstar i due piani temporali sono rappresentati da un dialogo e dalla cronaca di un evento. Nel dialogo si confrontano un ragazzo e una ragazza, la quale insiste perché il primo partecipi, a distanza di anni, a un ritrovo di classe: erano stati compagni durante la scuola media. Il tema che emerge è il bullismo subìto dal ragazzo e il desiderio di riscatto di lei, smaniosa di offrire il proprio aiuto, a compensazione di quanto non aveva saputo fare in terza media. Questa semplice vicenda è alternata sistematicamente al racconto di una sfida di Wrestling (la voce narrante coincide con l’ideale cronista dell’evento), in cui si profila la possibile rivincita del combattente solitario, che sale sul ring per affrontare il rivale e il suo team, che sei anni prima non solo lo avevano sconfitto, ma pubblicamente umiliato. Si può facilmente intuire il gioco di rispecchiamento tra i due livelli narrativi. L’abilità nel trapuntare un piano nell’altro, in uno sviluppo avvincente, si conferma anche in queste pagine, e tuttavia la retorica della cronaca sportiva dell’evento alla lunga sembra prevalere: il gioco si è fatto scoperto, la tecnica è più che esibita: apparecchiata come in una esemplificazione da manuale.

Più coeso e perturbante risulta il racconto, in Binari, del trauma del protagonista, il conducente del treno, che non può impedire a una giovane suicida (ancora una volta, dunque, la predilezione è per l’adolescenza, età per antonomasia di crisi e di dissidio) di ottenere il suo scopo. I brevi capitoli in cui l’evento tragico è ripercorso al rallentatore con uno sguardo oggettivo, direi scientifico, quasi per dare inversamente risalto al dramma insondabile (questo l’incipit: “È opportuno che adesso si provi molta pena, per lui, o che almeno ci dispiaccia”), sono alternati a capitoli fra parentesi, in cui la voce narrante si fa più più intima e profonda, pur limitandosi pudicamente alla descrizione dei dettagli di vita, dei gesti, della quotidianità, con cui il conducente cercherà di rielaborare il trauma (il secondo piano temporale, questa volta, prevede uno slittamento verso il futuro). La scrittura, verrebbe da dire, è un gesto per conoscere, anzi, letteralmente per studiare il dramma: da qui anche le riflessioni, per esempio, sul suicidio in generale o su altre vicende paradigmatiche. La freddezza dello sguardo (Voltolini nella postfazione parla di “scatola gelida”, in merito al racconto), è dunque desiderio di precisione, nella certezza che “mettere a fuoco” in modo spietato (e una costruzione sintattica con soggetto assoluto è forse la prova di questo sforzo di focalizzazione: “Kniest, è evidente, è opportuno che proviate compassione anche per lui”) significhi accendere, nel lettore, per la legge dell’inversamente proporzionale, un più vivido sentimento di pietà. Da una parte, dunque, l’immagine del binario rappresenta l’emblema perfetto dei temi e delle architetture privilegiate dall’autrice, che scrive per tenere insieme piani diversi, in modo da far procedere speditamente la vicenda verso un punto di massima tensione psicologica; dall’altra, gli stilemi e le strutture sono ormai riconoscibili, a rischio di risultare a tratti un po’ stucchevoli. Forse non è un caso che entrambi i racconti siano accompagnati anche da un apparato di supporto: un glossario, in Superstar, per interpretare i riferimenti tecnici dello sport, e un’intervista di approfondimento sul disturbo post-traumatico da stress in Binari (ma si veda anche l’esibito rimando a una letteratura specifica e ai manuali tecnici di macchinisti). Al di là delle necessità contingenti di confezionare volumi non troppo esili, c’è il rischio che si indovini la tramatura, che la tecnica non si riassorba nell’opera, che la dovizia preparatoria lasci, qua e là, le proprie tracce: almeno in Blu questo aspetto didascalico era svolto internamente al libro: la spiegazione della performance art avveniva, giustappunto, in un contesto scolastico, e l’esigenza didattica dell’autore si esercitava senza che il lettore se ne avvedesse. Ars celare artem

Se la perizia di Tribuiani ha già dato dunque prova di sé, i conti con la sua dimensione autoriale non sono (vivaddio) ancora chiusi: occorre capire se la sua prolifica sperimentazione, di volta in volta felice nell’applicarsi a nuovi temi (l’identità sessuale, il bullismo, il trauma psicologico ecc.) e nel variare registri espressivi e focalizzazione narrativa, finirà per circoscrivere e assediare una voce credibile fino in fondo, che si risolve, a conti fatti, nelle proprie ossessioni, ma senza consumarsi, senza sciogliere il nucleo irriducibile di una scrittura capace di trascendere la mera esecuzione tecnica.

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