La storia da tramandare ai figli
(L’opera scelta come copertina è di Anna Gritti.
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Ecco un altro articolo che avevo incluso in Mosse per la guerra dei talenti. Mi sembra che questa serie di letture, che prendevano a pretesto alcuni versi di poeti della mia generazione, sia una sorta di manualetto di poetica.
Radiosa, quest’ora,
. e violenta di luce
dovresti (vorrei che tu…) vederla esplodere dall’albero
di Natale
ancora da disfare, e dallo striminzito presepe – piuttosto
la mia tristezza cresce, tristezza casalinga.
È quasi mezzanotte, anche a 3 chilometri da qui
e quest’ora no, quest’ora lo sai non è più
mite… le necessità, le cause di forza maggiore
hanno fatto andare a male il burro nel frigo, è scaduto
di qualità il mio poeta preferito e devo
stare attento al latte… le circostanze sono
fatte
così. Indecenti.
[…]
Aspetterò il sabato
pomeriggio, comprerò delle bibite:
immagina: noi colle amarene Fabbri sul gelato allo yogurt
mentre ripristiniamo scene bibliche.
Gabriel Del Sarto
Ci sono versi che diventano presto, per la loro forza, patrimonio comune di una generazione. Come questi di Gabriel Del Sarto (classe 1972), che fin dal loro apparire nel Sesto quaderno italiano di Poesia contemporanea nel 1998 si conquistavano nell’immaginario dei non ancora trentenni un posto privilegiato. Li troviamo ora nella raccolta I viali (Edizioni Atelier), in apertura. E per quanto già noti ai più attenti “cercatori d’oro” (per stare alla sigla di un’antologia di Rondoni), questi versi si ripresentano oggi come il miglior avvio possibile per un percorso poetico che, certo, si è nel frattempo evoluto, conquistando inedite prospettive di senso, ma rimanendo legato ai quei presupposti così determinanti.
Quali? L’idea di una poesia (biografica o meno, non importa) che nasca dall’esperienza umana e ne rechi le stimmate. Che patisca in ogni sua cellula la tensione alla comunicatività e, insieme, la pressione del mistero. Che si nutri di sapienza letteraria senza saturarsi, pronta invece a riscoprire il soffio poetico della leggerezza che salva. Che sappia essere domestica senza essere crepuscolare. Che al sarcasmo sterile preferisca il rilancio vitale e conoscitivo. Che sfondi il frammento calligrafico per potenza di pensiero, per urgenza di cose da dire. Che non trascuri l’indecenza del mondo, ma nemmeno ci sguazzi. Che bruci ogni maniera con la fiamma visionaria.
Tutti questi elementi si combinano nell’alchimia poetica di Del Sarto. E quanto mondo è possibile ancora raccontare, quanta vita, quanti volti, quanti paesaggi sono raccolti nelle movenze a tratti nervose e a tratti raffinate delle sue pagine. Perché c’è una musica, c’è una benedizione, che sale dal caos apparente dell’esistenza, se appena si tende l’orecchio tra «il monologo fra supereroi / che è il gioco di mio figlio, o […] / la canzone dello stereo». C’è un privilegio, di cui dobbiamo renderci responsabili, anche in questo tempo disarticolato. C’è un onore da mantenere anche nella tristezza quotidiana, una concentrazione da non perdere, da tramandare ai figli, per lo scatto decisivo della storia, quando sarà dato.
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