Il cielo di Marte (Einaudi, 2005)

Una poetica inattuale (di Guido Mazzoni)

Il libro nasce da una poetica originale, inattuale e a suo modo coraggiosa

Andrea Temporelli è lo pseudonimo di Marco Merlin, nato nel 1973 e direttore di una delle più interessanti riviste italiane di poesia contemporanea, «Atelier». Il cielo di Marte è il suo secondo libro. Leggendolo, si rimane subito colpiti da un gesto che sembra al tempo stesso stilistico ed esistenziale: Il cielo di Marte si regge su una forma estrema, iperclassicistica di ordine e di controllo. Se ho visto bene, tutte le poesie della raccolta, tranne l’ultima, sono canzoni regolari o strofe di canzoni regolari: Temporelli recupera una veste metrica che Leopardi fu il primo ad abbandonare nel 1828, giudicandola incompatibile con la libertà d’espressione implicita nel nuovo assetto che la scrittura in versi aveva assunto in epoca romantica. Un meccanismo di controllo altrettanto severo governa la scelta dei contenuti e dei sottogeneri: molte poesie sono scene, visioni o dialoghi dai toni allegorico-sapienziali (Retorica del luogo, La cospirazione, La voce e il tempo, Amfortas, Visioni della battaglia gloriosa, per esempio); altre sono profezie e parabole (La tenda di Mamre, Parabola dei padri); altre ancora invocazioni a entità astratte (Ninna nanna con esorcismo). Quasi tutti i modi che Temporelli adotta sono mediati da un’istanza razionale.

Un’altra caratteristica del Cielo di Marte è la natura al tempo stesso meditativa e allusiva del discorso. Spesso l’io monologa e dialoga facendo riferimento a premesse biografiche e filosofiche che rimangono inesplicate. In La cospirazione, per esempio, si parla di tre persone sedute al bar che «Hanno trovato il varco». Una di loro invita le altre ad alzare la posta, a «dire ciò che si sa», a scrivere il vero, contro «i topi di palazzo»; sembra però che le altre non la seguano del tutto. Negli ultimi versi, colui che ha parlato si allontana da solo, «folle e puro», come Parsifal. Si può pensare che questo testo alluda proprio all’esperienza di «Atelier» (Parsifal è il nome di una delle collane pubblicate dalla rivista), al progetto di rinnovamento della poesia italiana che una parte della sua redazione ha perseguito. Chi non conosce queste premesse rimane però spiazzato davanti a un testo simile: gli sfugge il senso di quello che i personaggi fanno o dicono. Se è vero che questo modo di procedere è tipico di tutta la poesia che Fortini chiamava «difficile» e contrapponeva alla poesia «oscura» di origine simbolista e surrealista, è altrettanto vero che spesso, nel Cielo di Marte, l’oratoria dell’io, le scene rappresentate, le situazioni allegoriche hanno pochi rapporti col mondo della vita. È probabile che l’allusività sia anche una conseguenza dei limiti strettissimi in cui il discorso si vede costretto dalla metrica.

Il libro nasce da una poetica originale, inattuale e a suo modo coraggiosa. Chi ha scorso gli scritti critici di Merlin sa che queste scelte, nelle intenzioni dell’autore, vorrebbero rappresentare un’uscita definitiva dal Novecento: dalla sua ansia distruttiva di novità, ma anche dal suo male di vivere. Decifrando con pazienza il contenuto delle poesie, il lettore capisce come un simile progetto si rispecchi nei temi che attraversano la raccolta, quasi tutti improntati a quella che Kierkegaard avrebbe chiamato la «vita etica». Temporelli si rappresenta come marito, padre, figlio fedele all’eredità dei genitori, insegnante preoccupato ma coscienzioso. Il problema è che troppo spesso, nel Cielo di Marte, il discorso sulla realtà si irrigidisce in forme e modi che tolgono vita alla rappresentazione della vita. Per evitare che l’impalcatura classicistica si trasformi in una gabbia, e la ricerca della forma in un esercizio scolastico, sarebbe forse opportuno, per dirlo con una metafora meccanica, allentare i giunti di questa costruzione lasciando entrare più disordine stilistico, più immediatezza esistenziale.

(Guido Mazzoni, rec. a Il cielo di Marte, Almanacco dello Specchio 2006, a c. di Maurizio Cucchi e Antonio Riccardi, Milano, Mondadori 2006, pp. 240-1)

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