Estrema serietà e irriverente ironia (di Andrea Rompianesi)
Andrea Temporelli è alter ego poetico del critico letterario Marco Merlin, per anni responsabile, con Giuliano Ladolfi, della rivista di poesia Atelier. Un’esperienza forte, militante, anche molto polemica nei confronti di una letteratura caratterizzata da certi aspetti peculiari del Secondo Novecento.
Qui Temporelli, allontanatosi ora dall’esperienza della rivista, si fa narratore; intraprende, nel senso pieno del termine, il robusto percorso del romanzo. “Tutte le voci di questo aldilà” (Guaraldi, 2015), già nel sommario iniziale che annuncia i capitoli, esplicita dei contenuti stessi, quasi si procedesse con un ritmo alla Cervantes. Estrema serietà e irriverente ironia si profilano da subito come correlativi atti a preparare il lettore ad un percorso che non farà sconti e non concederà condoni ad un mondo, quello letterario contemporaneo, che diviene bersaglio di una disamina feroce.
E’ il liceo Rimbaud ad ospitare le scene che hanno come protagonista il professor Lipparini, detto Max, insegnante con un passato da poeta. Il sapore autobiografico si fa quindi evidente e disegna i tratti di un percorso vissuto, sofferto e interpretato alla luce di una ammissione non tanto di sconfitta quanto di apparente impossibilità a determinare esiti un tempo auspicati. C’è però un punto che delinea un dato evidente: l’idea che l’esercizio della poesia debba, se valido, necessariamente ottenere un riscontro critico adeguato e un riconoscimento pubblico. Oltre al fatto che chi scrive dovrebbe farlo principalmente per una sua esigenza interiore e se anche pubblica, per cercare solo un adeguato veicolo di comunicazione, oggi più che mai sappiamo che il mondo dell’editoria, e della grossa editoria in particolare, si muove con criteri che ben poco hanno da spartire con i concetti di merito, qualità testuale, valore letterario. Le scelte, nella grande maggioranza dei casi, vengono compiute su basi che riguardano logiche di spartizione e favori, del tutto lontane da seri strumenti di analisi. Altrettanto inutile aspettarsi quindi consacrazioni entusiastiche o approvazioni deferenti, anche queste spesso pilotate da altre motivazioni. Molto più cruda la realtà dei fatti. Nel testo di Temporelli l’impianto si sviluppa attraverso la messa a fuoco del rapporto tra il professor Max e Davide Scardanelli (forse un omaggio dichiarato a Holderlin), giovane studente universitario, che si rivela essere autore di versi folgoranti e inaspettati. Max vuole diventarne quindi mentore, guida e sostegno, cercando di condurlo all’interno di un ambiente, quello della poesia contemporanea, che appare in tutta la sua dimensione per lo più negativa, corroso da esibizionismi, gelosie, invidie, maldicenze, se non veri e propri livori magari soltanto velati da atteggiamenti comunque ipocriti. Lo stile narrativo è agile e vivace; intreccia passaggi e dialoghi rapidi e allusivi, dove altro si sente emergere dalle pieghe e dagli anfratti del discorso. La scuola, vista in tutta la sua fragilità intrinseca, mostra limiti e ambizioni frustrate, difficoltà del rapportarsi nel confronto con un mondo giovanile omologato, demotivato, e dove una superficialità imperante trova nello sfogo tecnologico la sua realizzazione effimera. Ma il punto centrale atto a significare l’inconciliabilità tra una vocazione letteraria autentica e la vuotezza di un’epoca, si determina nel fatto che il giovane talento Davide non vuole rendere pubblici i suoi versi. A differenza dei tanti mediocri pseudo autori intenti a rincorrere illusorie forme di affermazione, egli considera perfino inutile il progetto di pubblicare, ritenendo che non esista una comunità poetica autentica, semmai solo una confraternita già sconfitta dal tempo, dedita ad un esercizio inevitabilmente sterile. Nonostante simili premesse, Max si decide comunque in modo ostinato alla organizzazione di un convegno idoneo a richiamare una serie di addetti ai lavori, tale da poter essere teatro della comunicazione fondamentale: la comparsa sulla scena culturale di una voce capace di rivoluzionare il panorama poetico contemporaneo. Un’ amena località lacustre ospiterà l’evento. Nel libro di Temporelli, però, sembra che lo stesso procedere narrativo tenda ad una osservazione ossessiva di una realtà totalmente ed esclusivamente abitata da attori che caratterizzano la loro esistenza sempre e solo in una funzione di ruolo che qui si esprime nell’ unica versione di “facitore di versi”. La poiesi poetica come identità primaria, veicolata attraverso una prosa che ammette l’approccio reiterato di un tono discorsivo neutro. Questo per segnalare una vocazione illusoria intenta a credere nella sempre possibile e auspicata epifania del capolavoro letterario, come che l’epicentro dell’azione si costituisse nel livellarsi al tema, lontanissimo da ogni autenticità creativa, del successo esigibile. Tutto ciò in una ribadita partitura dove la prosa si concede la regolarità rassicurante di un passo molto concentrato su di un dire autoreferenziale. Ma i poeti non sono sempre, come diceva Luciano Erba, necessariamente autoreferenziali? Nella parte terza del libro, il convegno concretamente si svolge sulle rive del lago, coinvolgendo molti personaggi significativi del panorama culturale, permettendo così all’autore di costruire un vero e proprio palcoscenico di figure all’insegna dell’ironia pungente verso comportamenti, tratti, esibizioni, difetti, piccoli segreti, meschinità di coloro che rivestono i ruoli più o meno definiti di poeti, scrittori, critici letterari, o aspiranti tali. Le ultime pagine salgono vibranti verso un tono più alto e lirico, dove il contenuto drammatico dell’epilogo si riverbera in una considerazione mirata ad evidenziare una formula neoromantica del processo di scrittura e della figura stessa del poeta come interprete involontario di un destino che lo vuole ben oltre il ruolo di possessore di una tecnica. Tutto è quindi posto su di un piano che esige una sacralità quasi impossibile da ritrovare nei consueti e abituali percorsi autoriali, e sembra quindi inattuabile una normale pratica del poetare. Ma, forse, altro si può cogliere se ci si convince che una vocazione autentica può comunque essere diversa cosa rispetto ad un contesto intento ad imporre una sorta di gara che non ha davvero titolo per esistere.
(Nell’immagine di copertina, Sfuggendo alla critica, di Pere Borrell del Caso)
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