Il sesso della critica
(L’opera scelta come copertina è di Emmanuela Zavattaro.
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Ho praticato la critica letteraria come l’esperienza di un gesto amoroso di avvicinamento, in cui la parola non s’impone con il peso di un proprio Discorso autonomo, ma lascia progressivamente spazio all’altro, al testo irraggiungibile che lo irradia fino all’abbandono, al deliquio di ogni presunzione di possesso.
Non ci sono dunque criteri da applicare, poetiche da seguire. Non c’è metodo. Ci sono le istituzioni storiche che segnano il punto di partenza, nelle quali subentrano ombre beffarde che chiedono vendetta e impongono il sacrificio d’amore: una parola che conduce al silenzio della lettura, all’ascolto. Una critica che ha senso solo se s’immola davanti alla voce che l’ha guidata dove non poteva immaginare: davanti a qualcosa che parla da sé. Un divenire che si giustifica nell’incontro con l’essere.
Poi riprende la storia, ma solo se l’incontro è avvenuto e avrà spostato, magari di un solo millimetro, gli edifici che dobbiamo tornare ad abitare, con più luce e meno solitudine.
La riflessione critica è stata un dialogo d’amore. Anche per questo ogni lettura era compenetrata dalla parola poetica. La citazione, nell’atto critico, deve sfondare e prolungare il silenzio della ragione, laddove il silenzio può risuonare solo se anche la ragione ha cantato.
Poesia e critica, dunque, nel punto amoroso di contatto, invertono i ruoli?
No, «non ricercate l’unione (l’anfimissi) fuori della divisione dei ruoli: fermatevi all’unione dei sessi: è la ragione stessa della coppia» (Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, tr. Di Renzo Guidieri, Torino, Einaudi, 1979, p. 204).
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