Per chi scrive il poeta?
(L’opera scelta come copertina è di Cristina Pedratscher.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)
A Barbara
Un’anima come la mia là fuori
l’avrebbero divorata
Benché la foto ci ritragga con bardate sciarpe
in questo regno bianco di accelerazione
non vale proprio più una topologia
delle sconfitte, Varazze prima finestra
del Turchino, e noi (ancora non sapendo
cosa fare) persi al bar per una fanta
a leggere vicini un libricino di Montale,
a dirti allora vedrai che si può sempre
rimediare e combinare la poesia
alla sua morte è già abbastanza
è già una vita.
Andrea De Alberti
C’è l’adolescente che scrive per la ragazza che non osa avvicinare, c’è l’idealista ipocrita che scrive per l’umanità, c’è il poeta per hobby che scrive per i compaesani, c’è il vanesio che scrive per se stesso, c’è il letterato che scrive per i critici e gli amici scrittori… E il poeta, per chi scrive il poeta?
Può sembrare una domanda oziosa, che, presa superficialmente, andrà liquidata con una risposta di semplice buon senso. Ma ciascun autore se la dovrà, prima o poi, porre seriamente. Ciascuno dovrà indagare lo sguardo che orienta la sua postura sul foglio, l’attenzione attorno alla quale coagulano le parole in uno stile centrato su un punto focale latente, affinché non risulti stonato, retorico, sopra le righe.
Andrea De Alberti (nato a Pavia nel 1974), a giudicare dalle sue poesie ospitate sull’Ottavo quaderno di Poesia contemporanea curato da Franco Buffoni e uscito per la Marcos y Marcos, sembra aver già sciolto l’enigma. La sua silloge, intitolata In presenza del fantasma, è accompagnata da una nota che rivela il fatto che tale sigla complessiva «istituisce una celata ma necessaria corrispondenza tra l’autore e il padre morto. A lui è rivolto il tu della maggior parte delle poesie, mentre i dedicatari, evocati nel corsivo che precede i testi, sono stati, in circostanze diverse, occasione del rapporto con il fantasma, rasserenato dalla loro esistenza reale».
Il destinatario intimo di un autore, infatti, non è detto coincida con quello “incidentale”. Le poesie di De Alberti sono addirittura tutte attribuite a figure fotografate in un rapporto circostanziato con l’io poetante, ma il romanzo definito da tale serie di occasioni insegue, appunto, il proprio fantasma.
Non è detto, naturalmente, che un poeta scriva solo a un uomo, o che sia perfettamente consapevole del suo lettore-simulacro. Non è detto nemmeno che scriva a persona viva o reale, ma nella zona d’ombra del suo pensiero, questo è certo, due pupille vigilano e suggeriscono le parole, con la forza segreta del desiderio.
Questo tuo scritto mi colpisce dolorosamente e mi fa pensare, come la poesia di Andrea de Alberti.
Mi ha colpito l’incipit: “c’è l’adolescente (che scrive per la ragazza che non osa avvicinare), c’è l’idealista (ipocrita) che scrive per l’umanità, c’è il poeta (per hobby) che scrive per i compaesani, c’è il vanesio (che scrive per se stesso), c’è il letterato (che scrive per i critici e gli amici scrittori)…: un elenco che non porta in sé la misericordia. E mi mette in crisi.
Poi la domanda vera, inquietante: “E il poeta, per chi scrive il poeta?….”. Il poeta è o è stato, a mio parere, in momenti diversi ciascuno di questi personaggi. Fa parte della nostra umanità e del nostro crescere. Il dire del poeta è ambiguo, talvolta evocativo e talvolta neanche lui ha ben chiaro, se non a livello intuitivo, ciò che sta dicendo. Spesso ha bisogno di inventarsi un’altra lingua, o almeno di forzare quella che già esiste. Una – “eversione” – esprime più di quel che potrebbe o saprebbe tra la tentazione del canto e la necessità del discorso. La potenza delle parole trasforma il mondo e noi stessi. E le parole possono perfino salvare le cose. Forse: l’uomo comunica la propria essenza spirituale attraverso la poesia. Ma quello che sto dicendo potrebbe essere vecchia nostalgia.
Buon lavoro impegnatissimo Andrea Temporelli!e grazie.
Grazie a te. Continuo a rimuginare anch’io, su questi temi capitali…