Ruggine e oro, di Marco Munaro
A proposito di libri autentici che sfidano l’oblio, perché vivono ai margini del circuito editoriale autoreferenziale e centrato sulla moneta anziché sul valore: a pescare nei titoli delle edizioni Il Ponte del Sale difficilmente si rimarrà delusi.
Le collane di poesie delle principali case editrici italiane sono un mix di prestigiosi autori stranieri, poeti affermati che da decenni replicano loro stessi pigramente insediati in un consenso cristallizzatosi per inerzia, marchette dovute a firme prestigiose per altro motivo, improvvisi e improvvisati tentativi di cogliere voci nuove che si presentano significative. Non c’è insomma progettualità, un’idea guida, e il coraggio e la libertà conseguente.
Ecco perché talvolta sono proprio i piccoli editori a poter pensare in grande. Come capita, appunto, a Rovigo, con il Ponte del Sale, capace per esempio di ospitare opere di Benn o la traduzione di Seamus Heaney dal libro VI dell’Eneide, oppure, in ambito italiano, di accogliere l’intera produzione poetica di Simone Cattaneo o (cito a caso) a raccolte di autori come Edoardo Zuccato, Anna Maria Farabbi, Ida Vallerugo, Amedeo Giacomini, Franco Loi.
L’ultimo titolo uscito è di un altro poeta che, per chi davvero frequenta e ama la poesia contemporanea, è nome noto: Marco Munaro, artefice primo della stessa attività editoriale di cui stiamo parlando. La sua nuova raccolta si intitola Ruggine e oro.
Non saprei che cosa aggiungere, per presentare il poeta, a quanto ha scritto in modo impeccabile Pasquale Di Palmo nella prefazione, per cui affido la riprova della forza di questi versi a un testo, il penultimo della raccolta:
CIUSO E CIARO
Arrivano in coppia a piedi con una
graziella a mano parlando sospesi
tra la legge Basaglia e il nulla in via Orti
i matti,
dalle caldaie dall’oratorio
dai polli dalle bietole da tutti
quei letti tutti quei bottoni
rovesciati per terra.
Parlano una lingua indecifrabile a
brandelli tra la guerra e l’alluvione.
Mi muovo tra i mattoni
crollati del fienile
e l’edera si arrampica ed inghiotte
le case, sacra a Dioniso.
Erano in due,
parlanti in una lingua
ignota Ciuso e Ciaro e barcollavano
come fossero brilli
scampati fuori tempo
i parenti cangianti della luce
dell’aria della terra
e delle lentarine
nel fosso, di quello che c’è – e poi
scompare.
[Purtroppo nn potrò leggere RUGGINE E LUCE] ho buttato tutti i volumi in gran parte regalati dal Ponte del sale compresi i miei pubblicati da [lui] nn venali , regalati. non basteranno vite x assolvermi ed aver tradito un amico Marco poeta appunto d[‘a]mbra… ma te [marco merlin] che ti sei venduto il culo a 30 anni all’enaudi [luduvicum circus] su un libro che ho ancora autografo il cielo di marte perché eri parte della loro controfigura ora vieni a trattare bene le piccole case editrici… nn te ne sei andato da Atelier t’hanno cacciato é diverso… tu sei matto io lo scemo marco [munaro] il fante di coppe. Ma marco munaro é come te, dal borgo natìò tutti sanno morire senza volersene andare. dicevo sopra non ‘basteranno vite’ per mandarvi tutti e due a fare in culo per avermi costretto a comprare la carta nn da culo ma quella che si stampa.
in fede in piena facoltà mentale mi assumo la paternità di ciò che scrivo.
Giorgio Stella
Caro Giorgio, mi dispiace che tu abbia in corpo tanto veleno. Per il resto, non so che dire, è tutto semplicemente falso. Ma come vedi accolgo il tuo commento, ognuno ha diritto di pensarla come vuole.
Caro Merlin se fosse tutto falso ti invito a una telefonata incrociata con Ladolfi dell’enaudi nn saprei perché lo sanno tutti che eri il
vassallo di Raboni…. […] [ spero ti sei scopato la Valduga- *Munaro mi ha pubbliocato per p.g.r. [x grazia ricevuta] in una somma ostile al netto nel lordo cioé x farti capire lui pubblica gratis il gratis suo nel caso mio nn venale diritto d’autore cioè lui ti pubblica TERREAMADRE e tu gli dedichi un Atelier … il veleno in caso ce lo avete voi, che su commissione dareste l’ordine pure di stampare farate indovino
giorgio stella
Stella mia, se serve a svelenirti, ti spiego una paio di cose. Io Raboni non l’ho mai conosciuto di persona. L’ho visto forse una volta sola, in un convegno (in cui nemmeno parlava lui, ma Valduga, con la quale ho scambiato giusto due parole per chiederle se voleva ricevere Atelier, la rivista che avevo appena fondato).Se vuoi testimoni dell’incontro, puoi chiedere a Daniele Piccini, allora studente universitario come me e dirimpettaio di camera allo stesso collegio. Forse “tutti credono che ero il vassallo di Raboni” solo perché recensendo le antologie di poeti nati negli anni Settanta, uscite in quel periodo, ha fatto due volte il mio nome, bontà sua, per indicare i poeti che al momento a lui piacevano di più. E per quanto riguarda Atelier, tranquillo, me ne sono proprio andato io. Non c’è una sola motivazione, ma certamente la scelta di non pubblicare l’opera completa di Simone Cattaneo, per cui mi ero già speso (e che poi mi sono prodigato perché si facesse altrove, e mi sono rivolto a Munaro), ha contribuito a sancire una difficoltà di collaborazione che si faceva sempre più forte. Non si tratta di divergenze radicali, ma dopo molti anni la fatica si faceva sentire e, per me stesso, più come poeta che come critico, avevo bisogno di slacciarmi da certi compromessi. E poi Atelier rischiava di diventare un’abitudine, una proprietà di cui compiacersi troppo. Non c’è bisogno di telefonargli insieme: Giuliano è persona onesta e ti racconterà tutto, se vuoi. Ti dirà in particolare che per lui è stato un fulmine a ciel sereno e che sono stato irremovibile, quando ha cercato di dissuadermi da questo addio.
Vedi, se perdo tempo a scriverti, è perché credo nel potere curativo che la parola, e la verità, a volte possono avere. Se però a te tutto questo non è servito, basta, leggerò i tuoi prossimi commenti con curiosità, senza darmi più pena di sfatare fole.