Leo Spitzer

Leggere, leggere, leggere

«Leggere, leggere, leggere»: questo era essenzialmente il metodo per Spitzer. Tuttavia, il rigore di chi riconduce interamente il proprio discorso interpretativo al testo in una lettura non è diventato ancora fatalmente specialistico: non siamo caduti in una analisi, in uno studio. Come di fronte a qualcosa di vivo e di irriducibile, la lettura mantiene sempre la tensione emotiva della frequentazione, dell’avvicinamento desiderante ma insieme rispettoso, consapevole della distanza. La critica si sa perennemente inadeguata all’opera. Lo studio è un movimento verticale che si esercita sopra un corpo inerte (ah, l’etimologia…), la lettura è un approccio orizzontale verso un corpo vivo che si muove nel presente.

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Sulla scorta del Fortini di Verifica dei poteri, direi che è utile tornare «a proporre una figura del critico che è di un’alta tradizione: il critico come il di-verso dallo specialista, come colui che discorre sui rapporti reali fra gli uomini, la società e la storia loro, a proposito e in occasione della metafora di quei rapporti, che le opere letterarie sono». Non c’è contraddizione. L’opera si muove e prende forma nelle strutture temporali che la plasmano dall’interno e dall’esterno: qui compie il movimento di fuga che la rende imprendibile e rinnova la necessità dell’interpretazione. L’intima luce di un testo inquisisce l’eternità dialogando con la sua epoca natale. Per quanto sembri impossibile ai giorni nostri così frantumati una simile figura, tanto integra, «Di qui, direi, non s’esce: o si considera l’oggetto della contemporaneistica come un pretesto, una occasione, uno spunto per un discorso e allora il metodo non viene esercitato per una scelta di valore o, tutt’al più, è impiegato nella scelta del pretesto (e di fatto, molto spesso, è così); o invece il libro, l’autore di cui si parla, voglia-mo inserirlo in un ordine storico, ideologico, estetico, e allora, quello schema, quell’ordine, debbono essere continuamente verificati sul contesto sociale, culturale, che quel libro, quegli autori, produce e riceve». È solo una questione di discrezione: non il critico sul pulpito sacerdotale, ma dietro la grata delle parole, a sentire pulsare l’epoca e il suo travaglio. Non c’è condanna, ma sofferta partecipazione.

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Letture, dunque, purché critiche, capaci, in nome dell’affetto che le muove, di affondare la lama del giudizio, dal momento che ogni amore è elettivo e gelo-so e ogni incontro ricostituisce l’illusione che tutto sia “per sempre”. Letture, dunque, e tuttavia critiche, perché il terreno sdrucciolevole della contemporaneità e la palude quasi impenetrabile dell’editoria e i capricci della fortuna letteraria e le fatiche quotidiane di ognuno rendono impervio il cammino di questo amore, di ogni amore. Letture, infine, tanto critiche da trasformarsi in misletture, rivelando il vero volto del critico, che si riconosce, suo malgrado, uno scrittore.

La critica fiorisce quando la letteratura è inadeguata
Karl Shapiro

 

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